martedì 12 agosto 2014

DISCUSSIONI. LIBERO ARBITRIO E DETERMINISMO. E. BONCINELLI, Liberi perchè più forti dei nostri geni, LA LETTURA, 10 agosto 2014

L’uomo ha sempre aspirato alla libertà, ma occorre chiedersi quanto si possa effettivamente essere liberi. E cosa eventualmente lo vieti. Vediamo. Esistono almeno tre forme di libertà, ovvero di indipendenza o di affrancamento da determinismi, predestinazioni e prepotenze: la libertà dalle cose del mondo, la libertà da se stessi (cioè dalla propria costituzione psicofisica) e la libertà dagli altri, intesi come esseri capaci di intendere e volere. La più facile da illustrare e la più trattata da sempre è l’ultima forma, la libertà dal volere degli altri. Da tempo l’essere liberi si identifica con il non essere sottoposti a costrizioni o limitazioni imposte da altri esseri umani che agiscano consapevolmente. Qui non si tratta di sapere quanto si può essere liberi, ma quanto si vuole essere liberi, cioè quanto si è disposti a pagare, come individui o collettività, per esserlo veramente, cioè quanto si vuole essere diretti da se stessi e quanto da altri.


Ritengo che non sia il caso di insistere su questa forma di libertà. Ma con un codicillo. Nel nostro mondo si è enormemente attenuato il pericolo di subire costrizioni fisiche e limitazioni materiali della libertà, ma è venuto in primo piano un altro, più subdolo, rischio: quello di perdere di vista la propria personale convinzione su questo o quell’argomento, assediati e soffocati da false teorie, pregiudizi, frasi fatte e conformismi di ogni tipo, compreso il cosiddetto anticonformismo.
Non molto più difficile è parlare della prima forma di libertà che abbiamo elencato, quella dalle cose del mondo, ovvero dalle leggi e dai dettati della fisica, incluse astronomia e geofisica, chimica e storia naturale delle creature che popolano il globo, compresi gli agenti infettivi. Questo riguarda anche dove siamo nati, e come, e tutto ciò che ci accade intorno e che ci tocca da vicino senza una nostra precisa responsabilità. Su tutto questo possiamo fare ben poco, anche se non tutti i decreti del cosiddetto destino sono ineluttabili.
Viene qui a proposito l’introduzione del concetto di determinismo, come determinazione più o meno totale degli eventi futuri sulla base della situazione presente. Tale determinismo può essere, almeno in teoria, assoluto, come quello che non ammette deroghe, o relativo, che abbia cioè rilevanza, ma non ineluttabile. Fin dai primordi siamo stati inclini a vedere uno o più responsabili dietro a ogni evento, anche il più meccanico e contingente. Questo atteggiamento animistico ha preso poi la forma di una religione, prima ricca di molti dèi e poi monoteista, almeno in alcune aree del globo. La prima idea di determinismo assoluto si appoggia quindi nella Grecia antica su una sorta di fato ineluttabile e successivamente nella Cristianità sul potere di un Dio creatore e ordinatore. Cui nulla sfugge. Detto in un parlare popolare «Non si muove foglia che Dio non voglia»; detto più poeticamente «C’è una speciale provvidenza anche nella caduta di un passero», come sostiene Amleto. Tale tipo di determinismo assoluto di stampo teologico è stato messo in discussione da più autori, tra i quali Sant’Agostino, con l’introduzione dell’idea di un nostro «libero arbitrio»: Dio avrebbe scelto cioè di lasciare, entro certi limiti, l’uomo libero di scegliere il proprio comportamento. Come, non si sa.
Nel Settecento al determinismo teologico è subentrato un determinismo fisico o, piuttosto, meccanico: conoscendo tutto della situazione attuale delle varie componenti del mondo, se ne può prevedere l’andamento futuro. Sono rari i casi di affermazioni che si presentano così categoriche, ma ce ne sono stati — famoso è quello di Pierre Simon Laplace — e soprattutto tale è il sentimento di molti scienziati e intellettuali dell’epoca. Se la situazione è quella descritta da un tale determinismo assoluto, c’è ben poco spazio per la libertà. Ma non è così — e probabilmente lo sapeva lo stesso Laplace — anche se molta gente ritiene che questo sia ciò che pensa la maggior parte degli scienziati.
Ma, prima di procedere oltre, sento la necessità di rilevare che quando si parla della nostra conoscenza scientifica del mondo occorre tener conto del fatto che non tutto ha per forza una spiegazione e che di tutte le spiegazioni possibili, oggi ne conosciamo solo una parte. Innanzitutto, la fisica del Settecento riguardava essenzialmente la meccanica, mentre dovevano venire poi l’ottica, la fluidodinamica, la termodinamica, l’elettromagnetismo e infine la fisica degli atomi. Poteva mai quindi la sola conoscenza della meccanica vederci abbastanza chiaro nel complesso dei fenomeni naturali? Due sono stati essenzialmente gli eventi che ci hanno fatto cambiare idea sul determinismo assoluto di stampo fisico. A livello macroscopico, siamo progressivamente venuti a contatto con un numero crescente di fenomeni cosiddetti non lineari che accadono su una molteplicità di scale dimensionali. La non linearità di un fenomeno stipula che raddoppiando l’intensità delle cause non si ottiene necessariamente il raddoppiamento degli effetti, ma in genere un loro incremento molto superiore. Il fatto poi di accadere su una estesa molteplicità di scale dimensionali conferisce a un fenomeno una maggiore imprevedibilità e complessità. Complessità è infatti il parametro che si invoca molto spesso per riassumere tutte queste difficoltà nello studio della fisica a livello macroscopico, anche se del termine in questione si è talmente abusato da farmelo diventare antipatico. Il problema non è di invocare la complessità, ma di aggirarla.
A livello microscopico poi, è noto che la fisica atomica e quella subatomica hanno complicato improvvisamente tutto, introducendo principi e punti di vista nuovi e diversi e facendo entrare l’elemento casualità dalla porta principale. L’effetto di tutto questo è stato quello di prendere coscienza di quanto conti il caso in tutti gli eventi materiali. Altro che entità responsabili e deliberanti!
A tutto questo la biologia evoluzionistica ha aggiunto un carico da undici, mostrando quale ruolo abbia avuto il caso nell’evoluzione dei viventi. Insomma un po’ di libertà c’è per tutto e per tutti, fra le pieghe delle leggi fisiche e approfittando delle loro maglie allentate dal caso e dalla contingenza.
Devo notare comunque che, nonostante il coro di lamentazioni che sale continuamente da più bocche, il mondo nel suo complesso non è stato mai tanto sicuro e prevedibile come oggi. Resta tuttavia un certo margine di rischio che può essere ancora ridotto.
La forma più recente di determinismo possibile e di relativa libertà da quello, si è avuta a proposito della nostra propria costituzione psicofisica, dall’assetto genetico alla dinamica neurobiologica.
Siamo liberi?
E quanto siamo liberi dai nostri determinanti biologici fondamentali?
La mia risposta è semplice e chiara: tutto sommato siamo abbastanza liberi. Perché? Perché siamo troppo complessi per farci determinare in tutto e per tutto da un qualsiasi complesso di elementi. Il nostro corpo e soprattutto il nostro cervello hanno una struttura che non può che sfuggire a una totale determinazione da parte dei nostri geni, come pure da parte dei nostri circuiti e microcircuiti cerebrali. L’allentamento di tali determinazioni materiali lascia abbastanza spazio all’azione del caso e quindi alla libertà. Quest’ultima affermazione può risultare un po’ inquietante.
Che c’entra la libertà con il caso?
E che c’entra la nostra relativa autodeterminazione con la casualità?
Intanto se non esistessero gli spiragli lasciati dal caso, sarebbe tutto totalmente determinato e non sarebbe proprio il caso di parlare di libertà, neppure potenziale. In secondo luogo, se esiste qualche opportunità di indirizzare più o meno consapevolmente il nostro destino terreno, è solo approfittando degli attimi di distrazione, per così dire, della nostra rigida determinazione psicofisica che questo può accadere. Il problema, semmai, è chi o che cosa deve approfittare di tali preziose opportunità. L’Io, si dice a volte, o il nostro Sé, o la nostra coscienza, se tali entità esistono. O il nostro corpo nella sua interezza, unica realtà dimostrabile, associata alla nostra volontà e sensibilità.
Ci piaccia o no, noi siamo il nostro corpo, in tutte le sue funzioni e articolazioni. E questo è abbastanza libero e abbastanza nostro da poter dire: «Io». Non cerchiamo dunque improbabili alibi; entro certi limiti siamo e saremo personalmente responsabili del nostro agire.
Edoardo Boncinelli
Illustrazione di Francesca Capellini

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