martedì 5 marzo 2019

ORIGINI DEL CARNEVALE. M. BELPOLITI, Martedì Grasso: chi ha inventato il Carnevale?, REPUBBLICA.IT, 3 marzo 2019

Nel febbraio del 1788 Goethe è a Roma e vi descrive il Carnevale che si sta celebrando. Il Carnevale romano, scrive, non è certo una festa concessa al popolo, ma che “il popolo si concede”. Gli appare come la continuazione in altra forma degli svaghi domenicali e festivi che si permettono. A partire da Capodanno si aprono i teatri, e questo indica l’inizio del Carnevale stesso. Lo spazio dentro il quale si celebra è quello che va dalla piazza di Santa Maria del Popolo al Palazzo Venezia. Lungo via del Corso, che Goethe misura in tremilacinquecento passi, si svolge la festa.



I primi ad apparire sono dei giovanotti vestiti con abiti femminili della gente del popolo. A petto scoperto e sfacciatamente insolenti, fanno moine ai maschi che incontrano e trattano le femmine da pari a pari. Impersonano la figura della donna litigiosa attaccando briga con tutti. Poi appare Pulcinella con un gran corno penzolante da nastri multicolori legato alla sua cintola; in lui rivive “l’antico dio degli orti”: Priapo. Tutta la festa scivola progressivamente verso qualcosa di licenzioso, con continui riferimenti sessuali. Scendono per strada donne vestite da uomini. Si aggiungono personaggi vari, come un avvocato che tiene concioni e rampogna donne e cicisbei. Il Carnevale, scrive Goethe, permette alle donne di uscire di casa vestite in maschera e di spassarsela a loro gusto.

La descrizione va avanti per pagine e pagine del capitolo poi incluso in Viaggio in Italia, raccontando il lancio dei confetti di zucchero, vere e proprie sassaiole, che prendono di mira le persone e in particolare i preti; i confetti non sono altro che gli antecedenti dei nostri coriandoli, inventati solo di recente, che con le stelle filanti sono presenze immancabili nelle nostre celebrazioni.

Il Carnevale è una delle feste più complesse della cultura umana. Discende, come ricorda lo stesso Goethe, dai Saturnali, e la sua cronologia è assai difficile da determinare. Gli antropologi parlano di “carnevale storico”, l’antica festa europea, nel sud del continente, poi esportata nel Nuovo Mondo, in Sudamerica, da cui è quindi tornata in Europa attraverso le pratiche delle sfilate, mentre è festeggiata in tono minore nel Nord Europa e negli Stati Uniti, dove domina invece Halloween. Nel passato, come testimonia il poeta tedesco, cominciava a gennaio e terminava con la Quaresima e si fondeva con la “festa dei folli” e con il “paese della cuccagna”, descritto da Cocchiara in un suo celebre studio.

Segnata da eccessi alimentari e trasgressioni alimentari, anticipa la dieta magra e penitenziale della Quaresima; s’impernia sulla pratica del mascheramento, del travestimento, dell’inversione dei ruoli sociali e sessuali, per cui la maschera stessa diventa fondamentale.

Il Carnevale trascina con sé manifestazioni d’aggressività, libera dai tabù costruttivi e manifesta lati della personalità umana imbrigliati entro rigidi schemi durante i ritmi consueti della vita quotidiana. In un suo saggio, Il Carnevale di Romans (Rizzoli), lo storico francese Emmanuel Le Roy Ladurie racconta come nella città di Romans, nel Delfinato, nel corso del Carnevale del 1580, la tradizionale inversione dei ruoli accese il conflitto sociale tra contadini e proprietari. Per tre giorni si succedono massacri da una parte e dall’altra, sino a che il capo dei contadini viene ucciso e gettato in un letamaio, per poi essere impiccato in effige.

Definire il Carnevale è davvero difficile, perché, come mostra il recente libro di Giovanni Kezich, antropologo, Carnevale. La festa del mondo (Laterza), le sue origini sono remotissime, si perdono nella notte dei tempi, come s’usa dire, e sono presenti in tutti i paesi dell’Europa, prendendo forme e aspetti differenti, come varianti di un unico ceppo. Tre sarebbero le sue fonti originarie: i lupercali, con i loro riti paurosi; gli ambarvali, allegri e salterini; e soprattutto i saturnali, con i loro scherzi inattesi; tutte e tre le radici affondano nella cultura popolare pagana e nelle istituzioni del mondo romano.

Kezich scrive che il Carnevale nasce tardi, dall’Italia comunale dopo l’anno Mille, quando risorgono le città e si prepara il rinascimento dei secoli seguenti. Carnevale sarebbe il figlio discolo di un padre anziano, Saturno, dio misterioso e sempre vecchio, e le sue ascendenze sono nei riti per la fertilità dei campi e del ritorno all’età dell’oro, meraviglioso sogno a occhi aperti delle popolazioni installate, dopo le invasioni barbariche – i “popoli migratori” nella versione germanica –, lungo la Penisola.

Il nome carnelevare affiora in un atto in latino di Subiaco nel 965 come “mera scadenza fiscale chiesastica”, scrive Kezich, assimilato a ciò che era prescritto ai chierici nella domenica di quinquagesima. Clemente Merlo in un suo scritto osserva che in tutte le denominazioni del Carnevale nelle lingue neolatine vige l’idea non del godimento, del piacere, come dovrebbe essere nello spirito stesso del Carnevale, bensì il suo contrario, ovvero la mortificazione, la privazione della carne del giorno dopo. Nel suo nome reca con sé non l’inno ai sensi, ma il grido di dolore, di rimpianto, quello dell’animalità insoddisfatta, “stanca, ma non sazia, la quale pensa che tutto quel godimento sta per finire”.

Il suo significato ludico emerge solo nel XII secolo proprio a Roma, dove compare un ludus canelevarii, e quindi negli statuti cittadini di Viterbo nel 1251-52. Di sicuro gli antichi riti di età romana, e anche precedente, entrano a far parte del Carnevale e delle sue usanze. Una delle cose che più colpiscono nei vari riti, sia in Italia come in Spagna, in Francia e in Portogallo, come nei paesi di rito ortodosso a oriente, è quella dei giochi: gare, lotte, corse, palio, cuccagna, corrida, danza armata, assalto al castello, eccetera. Sono decine e decine le gare che sono state censite dagli studiosi delle tradizioni popolari, insieme ai vari tipi di mascherate, dalle più paurose alle più oscene, dalle più allegre a quelle tetre. Goethe racconta nella sua cronaca del Carnevale romano la scena della donna gravida presa dalle doglie per lo spavento provocato da un litigio tra uomini armati di coltelli di cartone argentato; posta su una sedia, partorisce un pupazzo orrendo tra le risa degli astanti. Il travestitismo è una delle qualità peculiari del Carnevale che non cede facilmente il suo segreto agli studiosi che lo interrogano.

Ma quando è comparsa la maschera nei riti del Carnevale? Secondo Kezich, che cita Julian Jaynes, l’autore di Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza (Adelphi), la maschera sarebbe una creazione tardiva, frutto del definitivo consolidarsi dell’idea della coscienza, dell’affermazione dell’io, e di riflesso della possibilità di presentarsi sotto le spoglie di un altro. Di certo la maschera si accompagna ai cicli legati al ritorno degli spiriti, alle celebrazioni sciamaniche, nel momento in cui l’umanità diviene sedentaria e coltivatrice. Nel Carnevale, poi, l’umano si mescola all’animalesco, e il confine tra i due regni tende a divenire labile.

Dal Carnevale provengono le maschere che entreranno nella tradizione delle culture locali e regionali, di cui Arlecchino è la più antica, lui che è il conduttore del corteo dei morti, lo psicopompo che accede al regno dei trapassati e ritorna nel nostro. Il Carnevale, attuale, compreso quello turistico e omnicomprensivo di Venezia, è l’ultimo retaggio di un mondo che aveva nella festa e nel suo rapporto intimo con il calendario agrario, uno dei perni della stessa esistenza della società. Il tempo dei gruppi umani era scandito da questi ritmi regolari entro cui si collocavano le varie fasi delle vite individuali, le attività economiche, quelle religiose e il ciclo cosmico della Luna e dei Pianeti.

Lo studioso russo Michail Bachtin, nel suo celebre studio sul Carnevalesco tra medioevo e rinascimento L’opera di Rabelais e la cultura popolare (Einaudi), sostiene che il Carnevale tradizionale, quello sorto dalle ceneri del mondo romano finisce alla seconda metà del XVII secolo. In quel periodo lo spirito sovversivo del Carnevale va appannandosi. Si assiste, scrive, a un processo di riduzione, imbastardimento e impoverimento dei riti e degli spettacoli Carnevaleschi nella stessa cultura popolare che per secoli li aveva alimentati. La festa cessa di essere “la seconda vita del popolo, la sua resurrezione e rinnovamento temporanei”.

Con l’affermasi della modernità politica e l’avvento della scienza sperimentale, con la messa in crisi del mondo religioso e superstizioso del Medioevo, la nascita della borghesia che celebrerà il suo trionfo con la gloriosa rivoluzione inglese e poi quella francese, l’avvento di una nuova visione della società, articolata in classi, non più giustificata dalla fede religiosa, lo spirito del Carnevale tende inesorabilmente a morire. Cosa resta di quello spirito oggi è difficile da determinare. Re Carnevale è morto, viva il Carnevale! 

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