venerdì 9 marzo 2012

CARCERI ITALIANE. MANCONI L., Giuseppe Uva è stato violentato? UNITA', 9 marzo 2012

Giuseppe Uva subì violenza sessuale, quella notte del 14 giugno del 2008? La vicenda del quarantatreenne morto dopo essere stato trattenuto per oltre tre ore nella caserma dei carabinieri di Varese, è arrivata a una svolta decisiva. Ripetutamente abbiamo denunciato l’incompletezza delle indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Varese e ora, grazie al deposito della perizia ordinata dal giudice sugli indumenti indossati da Uva quella notte, sembra che si possa intravedere un barlume di verità. Una verità che apre scenari inquietanti. Gli elementi conosciuti permettono di riassumere la vicenda come segue.


Verso le 2.30 del 14 giugno 2008 Uva e il suo amico Alberto Biggiogero vengono fermati dai carabinieri mentre spostano al centro di una strada delle transenne, bloccando la viabilità. Vengono portati in caserma e insieme ai carabinieri assistono all’operazione sei poliziotti (l’intera forza di pattugliamento della città per la notte), i quali restano oltre tre ore all’interno dell’edificio. Biggiogero, testimone oculare di tutta la vicenda e autore di un dettagliato esposto-denuncia, descrive metodi «forti» utilizzati dai militari durante il fermo e le successive ora passate dentro la caserma. Oltre alle minacce e alle intimidazioni nei suoi confronti, Biggiogero, che è rimasto nella sala d’aspetto, sente provenire da un’altra stanza le «urla disperate» di Uva e il suono di colpi sordi.
In un momento in cui rimane solo chiama il 118 per richiedere un’ambulanza, ma l’operatore con cui parla telefona in caserma per chiedere conferma e i carabinieri negano che ci sia bisogno di un intervento medico, liquidando la questione con un «si tratta di due ubriachi». Solo verso le 5.30 viene chiamata la guardia medica e alle 6.00 un’ambulanza porta Uva in ospedale con una richiesta di Trattamento sanitario obbligatorio: un dispositivo di legge ideato per persone con malattia mentale che rifiutano le cure. Uva, nonostante mai avesse avuto problemi di salute mentale, viene trasferito nel reparto psichiatrico e trattato con psicofarmaci. La motivazione del Tso è la seguente: durante la permanenza in caserma Uva avrebbe messo in atto pratiche autolesive, lanciandosi contro il muro, sbattendo la testa contro il pavimento, contro i tavoli e contro gli stivali degli uomini che cercavano di tenerlo fermo.
Durante il ricovero in psichiatria, alle 10.30 di quello stesso giorno, Uva muore. La descrizione, fatta da Lucia Uva, del corpo del fratello all’obitorio è la seguente: il naso deformato, un bozzo dietro la testa, un livido enorme sulla mano, la schiena e il fianco completamente blu. Ma c’è un dettaglio che più di tutti è rimasto impresso nella sua mente: suo fratello indossava un pannolone. Lucia Uva prende i pantaloni di Giuseppe e si accorge delle grandi macchie rosse nella zona del cavallo e delle tasche posteriori. La prima cosa che fa è togliere il pannolone dal corpo del fratello. E quello che vede è, se possibile, ancora più atroce: un rivolo di sangue esce dall’ano e spostandogli il pene nota i testicoli viola e tumefatti. Da quel momento, per Lucia Uva è impossibile pensare che sia stato Giuseppe ad autoinfliggersi quelle lesioni. Le indagini, decisamente carenti sulla parte relativa alla permanenza di Uva in caserma, si concentrano sui medici e sulla somministrazione degli psicofarmaci ritenuti incompatibili con lo stato etilico di Uva.
Del fascicolo aperto contro ignoti a seguito della denuncia di Alberto Biggiogero non si sa ancora niente e Biggiogero, in questi quasi quattro anni, mai è stato ascoltato. Nell’ottobre del 2011 il giudice ha disposto degli accertamenti sui vestiti indossati da Uva quella sera e la riesumazione del corpo per effettuare una nuova autopsia. I primi risultati, discussi nell’udienza del 5 marzo dal perito incaricato dal giudice, non sembrano lasciare spazio a dubbi. Nella parte conclusiva della relazione troviamo scritto che sui pantaloni di Uva «oltre a sangue sono presenti cellule pavimentose con nucleo che possono essere derivate dalla regione anale o dalle basse vie urinarie». Ma ulteriori considerazioni medico-scientifiche indirizzano verso la prima ipotesi, la «regione anale».
E in che modo può essere spiegata la presenza di sangue, proveniente da quella regione, sui pantaloni di Uva? Le ipotesi, di fronte all’evidenza dei risultati, non sono molte. Quella evidenziata da alcuni, ovvero che il sangue possa derivare dal collasso di emorroidi, non risulta confermata, dal momento che finora tale patologia non era stata rilevata.
Resta l’interrogativo più inquietante: Giuseppe Uva ha subito violenza sessuale? Se sì, questa sarebbe avvenuta o nel corso di quelle ore trascorse in caserma o in quelle successive, passate tra l’ambulanza, il pronto soccorso e il reparto psichiatrico dell’ospedale di Circolo di Varese. Non solo: secondo un’altra perizia, non sarebbero stati i farmaci somministratigli a provocare il decesso, bensì una condizione di stress indotta da «stato di intossicazione etilica acuta; misure di contenzione fisica; lesioni traumatiche auto e/o etero prodotte», che ha provocato l’arresto cardiaco. I periti, circa i fattori che hanno provocato il forte stress non possono fare ipotesi per «l’assoluta mancanza di documentazione inerente il periodo compreso tra il fermo» e il «conseguente accesso presso il pronto soccorso». Dunque, a quanto di terribile tutto ciò evoca, si aggiunga il fatto che a queste tragiche ipotesi si arrivi solo ora.

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