domenica 4 marzo 2012

OSPEDALI E ISTITUZIONI TOTALI. GATTI F., Il lato oscuro del Niguarda, L'ESPRESSO, 1 marzo 2012

Un giornalista de L'Espresso si è finto agente delle pulizie ed ha potuto perlustrare i locali del più grande ospedale del nord, il Niguarda di Milano. Cumuli di escrementi e di amianto nei sotterranei. Taniche di sostanze tossiche davanti a Pediatria. Cadaveri ammucchiati perché mancano i loculi. Mentre coi fondi si finanziano faraonici progetti di facciata

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http://espresso.repubblica.it/multimedia/31541471/1/1



E anche oggi, tredicesimo turno di lavoro dentro l'ospedale di Milano Niguarda, le bucce di mandarino sono sempre lì. Ammucchiate all'angolo da tredici giorni, lungo il corridoio fra gli spogliatoi dei dipendenti e gli archivi delle cartelle cliniche. E sempre dov'erano tredici giorni fa, ritrovi immobile la lattina, i bicchieri di plastica del caffè buttati per terra, le macerie nascoste sotto i tubi dei gas medicali, due vecchi scarponi da sci, un ombrello rotto, il secchio per raccogliere l'acqua che gocciola dal soffitto, i posacenere pieni di cicche e i cestini dei rifiuti che ovunque traboccano come caraffe. Anche il guano non l'ha pulito nessuno. Le macchie sul pavimento, sul muro e sull'indicatore dell'uscita d'emergenza sono sempre le stesse. Da tredici giorni. Anzi, nell'atrio sotto il centro clinico all'avanguardia sono perfino aumentate. Due piccioni hanno fatto il nido sul cornicione. Non fuori. Dentro l'atrio. E nessuno li manda via.
Queste però sono piccole cose rispetto al resto. Nelle tre divisioni di Psichiatria a corto di infermieri hanno da tempo cestinato Franco Basaglia e uno dei doveri della legge 180. I pazienti vengono rinchiusi a chiave in reparto. Dicono che lo facciano per il loro bene. E sulla porta blindata di Psichiatria 3, comandata da un circuito elettrico, hanno appeso un cartello gentile come uno schiaffo. Una grande mano nera davanti al disegno di un volto urlante, un cerchio sbarrato rosso. E la scritta: "Vietato l'ingresso ai non addetti ai lavori - Unbefugten ist der Zutritt verboten". Nessun riguardo per i ricoverati e i loro familiari. Come se il reparto di psichiatria sia per forza un bunker o una galera. E poi, da quale protocollo medico è prevista la traduzione in tedesco?
A metà del corridoio tra gli spogliatoi e gli archivi, trentacinque passi dalle bucce di mandarino ormai rinsecchite, da settimane decine di dipendenti camminano e respirano accanto a dieci sacchi da mille chili l'uno.
Sono pieni di polvere di amianto. La finestra aperta innesca una corrente d'aria che spinge il pulviscolo ovunque. Altri sedici sacchi come quelli sono sparsi nei sotterranei dell'ospedale. Si risale in cortile. Il deposito per i rifiuti pericolosi del reparto Malattie infettive dimostra che non dappertutto vengono fatte le pulizie.

C'è una sporcizia scandalosa. Come in quello all'ingresso di Ostetricia, pediatria e chirurgia pediatrica dove è allineata una fila di taniche di sostanze tossiche che dovrebbero essere rimosse ogni giorno. Il cartellino rivela che alcune sono abbandonate lì dal 2 novembre 2011. Eppure nella sede della cooperativa che ha in appalto la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri, capita di vedere dipendenti giocare a carte o dormire a gambe all'aria sui sedili dei piccoli trattori.

Cadaveri ammucchiati
Nemmeno i bambini più sfortunati meritano un trattamento di favore. Per i piccoli che muoiono in reparto e devono essere conservati in cella frigorifera, non si sprecano posti. Questo è il più grande ospedale del Nord: 1.300 letti, 131 mila ricoveri all'anno. Ma di loculi refrigerati ce ne sono per quattro corpi soltanto. Così in attesa della sepoltura, racconta un dipendente, il bimbo "perché è più corto" viene sdraiato a contatto con un cadavere adulto sulla stessa piastra d'acciaio. Ai genitori non raccontano nulla. Per pietà. E poi ecco gli escrementi nei sotterranei. Non quelli di un cane randagio, come nel 2007 al Policlinico Umberto I di Roma. No, questi sono escrementi umani. Almeno una decina, proprio sotto gli ambulatori di reumatologia e di riabilitazione cardiologica. Da sopra non si sente l'odore. Qui sotto la puzza di feci e urina è insopportabile. E questo è il tunnel che si affaccia a pochi metri dal
deposito dei secchi e degli stracci con cui vengono lavate le camere dell'unità spinale, terapia intensiva, neurorianimazione e altri settori delicati. In tredici giorni nessuno rimuove gli escrementi. Nessuno disinfetta.

Malati dietro le sbarre
Non è in discussione la qualità dell'assistenza sanitaria. L'ospedale Ca' Granda di Milano Niguarda è nell'elenco delle eccellenze europee. I trapianti, le ricerche di rilievo mondiale, gli ottimi risultati nelle cure. Ma la capacità e la pulizia garantita da medici e infermieri non la ritrovi fuori dei loro reparti. Proprio dove contano la trasparenza degli appalti, l'efficacia della gestione, il rispetto della buona amministrazione si raccoglie l'indecenza. Il modello lombardo che gestisce la salute ha il suo volto nascosto. Malati e parenti non possono vederlo. Bisogna lavorarci dentro per scoprirlo. Non è necessario un contratto di assunzione. Gli operai in appalto e subappalto esterno sono centinaia. Qui perfino i latitanti della 'ndrangheta venivano a incontrarsi, accompagnati da un archivista. Basta accodarsi. Una tuta blu da indossare, identica a quella degli addetti alla rimozione dei rifiuti. Scarponcini da lavoro. Guanti in lattice. E una telecamerina per filmare tutto. Si vede così il paziente di Psichiatria 3. E' in piedi dietro la porta del reparto chiusa a chiave. Chiede di essere liberato. E' un ragazzo dello Sri Lanka. La barriera blindata in quel momento è aperta. Ma arriva un uomo in camice bianco. Schiaccia un interruttore sul muro. E bisogna scansarsi. Le due ante si chiudono con un botto sulla sua debole voce. Dopo quattro giorni il ragazzo è ancora chiuso lì dentro, incorniciato dietro la finestra antisfondamento della porta blindata. Fine della speranza di uscire. E poi i sacchi di amianto nei sotterranei ridotti a latrina. La sporcizia. Gli operai che giocano a carte. Il collega che dorme. La confessione sui bambini e le celle comuni in obitorio. Gli escrementi. Tutto filmato

Benvenuti al Nord.
Il volto ufficiale è quello che appare nel nuovissimo blocco Sud. Illuminato dai faretti, dai soffitti in cristallo, dalle vetrine dei negozi aperti dentro l'ospedale. E' la "Shopping-gallery" inaugurata nel novembre 2010. L'hanno chiamata proprio così, con la scritta adesiva sui vetri. Sembra il duty-free di un aeroporto. Manca la farmacia. Ma puoi comprare caramelle, orologi di marca. Perfino biancheria sexy e perizoma. "Una struttura", sono le parole del direttore generale, Pasquale Cannatelli il giorno dell'inaugurazione, "nella quale si inserisce in modo armonico, funzionale e non invasivo una attività commerciale caratterizzata prevalentemente da servizi alla persona". Cosa se ne fa una pensionata milanese di un perizoma?


Il patto con le Coop
Non si bada a spese quando c'è di mezzo la santificazione architettonica e commerciale del modello lombardo. Tanto che il soffitto della Shopping-gallery è una volta di vetro esposta al sole. Aria condizionata a manetta in luglio. Uno spreco di riscaldamento a gennaio. E' il modello misto. Prestazione sanitaria pubblica. E gestione privata di quanto non è sanitario. Dietro a tutto questo c'è il patto a distanza tra il presidente della Regione, Roberto Formigoni e una parte del Pd: il compromesso storico tra i ciellini della Compagnia delle Opere e le imprese delle coop rosse. Il costo a carico dell'ospedale, della Regione e dello Stato è sintetizzato sul sito Internet della "Cmb -Cooperativa muratori e braccianti", la capofila che guida la concessione di costruzione e gestione del nuovo ospedale: "Importo complessivo: un miliardo e 200 milioni di euro. Tempi di costruzione e gestione: 2007-2033. Posti letto: 1.350. Sale operatorie: 34". Un miliardo e 200 milioni. Dell'importo complessivo, più di 800 milioni costituiscono il canone da versare alla società di gestione in 27 anni. Cioè Niguarda spende soldi pubblici per far funzionare ciò che è già suo. Pur avendo i suoi dipendenti, un ufficio tecnico, un proprio studio di progettazione e un buon dipartimento di ingegneria clinica.

Shopping first
Il blocco Sud con gli impianti all'avanguardia e la Shopping-gallery l'hanno finito in anticipo. Il blocco Nord, tuttora in costruzione, sarà consegnato nel 2013. Una parte dei costi è anticipata dalla cordata della Cmb secondo le regole del project-financing. Gli anticipi però verrano rimborsati dall'ospedale. Con gli interessi. E in questo Niguarda già ci perde milioni, come sostiene un dossier dell'Ispettorato generale del ministero dell'Economia: al concessionario privato, è scritto, "viene restituito un importo molto più elevato di quello praticato per i mutui dell'epoca che si aggirava intorno al 4 per cento". E' soltanto uno dei 47 vizi di illegittimità riscontrati nell'operazione dagli ispettori del ministero.

L'azienda ospedaliera rinuncia agli incassi del parcheggio. E all'affitto degli spazi commerciali. Vanno tutti alla Progeni, la spa costituita apposta di cui la Cmb è socia di maggioranza. Progeni ora è il volto economico di Niguarda. Gestisce la manutenzione degli edifici, gli impianti, gli arredi, la lavanderia, la ristorazione, le pulizie e la raccolta dei rifiuti. Ma soltanto nei reparti nuovi. Hanno praticamente creato due ospedali. Quello a cinque stelle. E il vecchio Niguarda: l'ospedale amministrato dall'azienda pubblica che per pagare i canoni al gestore privato sta prosciugando le risorse per la manutenzione degli altri padiglioni. E si vede. Le facciate senza più intonaco sembrano mitragliate. Gli ascensori arrugginiti sono pezzi da museo. Nessuno rinnova i carrelli. E ogni pomeriggio i rifiuti vengono accumulati sul pavimento dei pianerottoli di reparto. Così a volte resta l'impronta dei liquami. Nel frattempo il fatturato di Progeni è passato dai 172 mila euro del 2008 ai 19 milioni 600 mila del 2010. E trattandosi di una spa privata, nel blocco nuovo non si fanno più gare d'appalto.
Diciannove milioni di fatturato. E nemmeno una scopa. Quanti euro costa una scopa? Ce ne vorrebbe una nuova, un po' d'acqua e tanto disinfettante. Qui, nella baracca lurida sotto il reparto di Malattie infettive, chiunque potrebbe rubare una cassa di rifiuti e abbandonarla in un vagone della metropolitana. La porta l'hanno scassinata. Sul fianco delle casse, sopra la R su sfondo giallo, c'è un avviso che scatenerebbe il panico: "Materie infettive. In caso di danno o di fuga avvertire immediatamente le autorità di sanità pubblica". La scopa appoggiata all'angolo è sporca e consumata. Lo spazzolone è peggio. Il pavimento, una schifezza. Davanti alla baracca, sul marciapiede e l'aiuola, svolazzano guanti in lattice, garze e cartacce vecchi di mesi. Nell'erba risplende un lenzuolo. Le infermiere scendono a lasciare i sacchi neri e le casse sigillate con i rifiuti infettivi. Entrano nella baracca. Poi risalgono nei reparti con le stesse ciabatte di gomma. Fanno lo stesso le colleghe di quasi tutti i padiglioni.

Cumuli di rifiuti
Chissà se l'impresa che gestisce il subappalto dello smaltimento ha una scopa nuova. La cooperativa ha sede nel deposito dell'ospedale dove viene accumulato il materiale pericoloso. Le casse con i rifiuti sono sul rimorchio di un Tir, parcheggiato senza motrice. E' pieno ma non parte. Altre centinaia sono accatastate sotto la tettoia. Tutto questo, a pochi passi dalla centrale termica e dalle cisterne di combustibile. Raccontano che la muraglia di casse di plastica sia cresciuta nelle ultime settimane. Da quando hanno deciso di ridurre le corse dei camion che le portano all'inceneritore. Prima i rifiuti venivano smaltiti tutti i giorni. Lo diceva ieri un dipendente: "Li trasferiscono a Reggio Emilia. Svuotano il contenuto nell'inceneritore e lavano le casse per rimandarle indietro. Adesso però il camion arriva solo una volta ogni tre giorni". E la scopa? Meglio lasciar perdere. Oggi dei tre colleghi di turno, due giocano a carte sul tavolo del piccolo ufficio. Il terzo dorme sul trattore, con le gambe all'insù appoggiate al parabrezza.

Shopping first
Il blocco Sud con gli impianti all'avanguardia e la Shopping-gallery l'hanno finito in anticipo. Il blocco Nord, tuttora in costruzione, sarà consegnato nel 2013. Una parte dei costi è anticipata dalla cordata della Cmb secondo le regole del project-financing. Gli anticipi però verrano rimborsati dall'ospedale. Con gli interessi. E in questo Niguarda già ci perde milioni, come sostiene un dossier dell'Ispettorato generale del ministero dell'Economia: al concessionario privato, è scritto, "viene restituito un importo molto più elevato di quello praticato per i mutui dell'epoca che si aggirava intorno al 4 per cento". E' soltanto uno dei 47 vizi di illegittimità riscontrati nell'operazione dagli ispettori del ministero.

L'azienda ospedaliera rinuncia agli incassi del parcheggio. E all'affitto degli spazi commerciali. Vanno tutti alla Progeni, la spa costituita apposta di cui la Cmb è socia di maggioranza. Progeni ora è il volto economico di Niguarda. Gestisce la manutenzione degli edifici, gli impianti, gli arredi, la lavanderia, la ristorazione, le pulizie e la raccolta dei rifiuti. Ma soltanto nei reparti nuovi. Hanno praticamente creato due ospedali. Quello a cinque stelle. E il vecchio Niguarda: l'ospedale amministrato dall'azienda pubblica che per pagare i canoni al gestore privato sta prosciugando le risorse per la manutenzione degli altri padiglioni. E si vede. Le facciate senza più intonaco sembrano mitragliate. Gli ascensori arrugginiti sono pezzi da museo. Nessuno rinnova i carrelli. E ogni pomeriggio i rifiuti vengono accumulati sul pavimento dei pianerottoli di reparto. Cosìa volte resta l'impronta dei liquami. Nel frattempo il fatturato di Progeni è passato dai 172 mila euro del 2008 ai 19 milioni 600 mila del 2010. E trattandosi di una spa privata, nel blocco nuovo non si fanno più gare d'appalto.

Diciannove milioni di fatturato. E nemmeno una scopa. Quanti euro costa una scopa? Ce ne vorrebbe una nuova, un po' d'acqua e tanto disinfettante. Qui, nella baracca lurida sotto il reparto di Malattie infettive, chiunque potrebbe rubare una cassa di rifiuti e abbandonarla in un vagone della metropolitana. La porta l'hanno scassinata. Sul fianco delle casse, sopra la R su sfondo giallo, c'è un avviso che scatenerebbe il panico: "Materie infettive. In caso di danno o di fuga avvertire immediatamente le autorità di sanità pubblica". La scopa appoggiata all'angolo è sporca e consumata. Lo spazzolone è peggio. Il pavimento, una schifezza. Davanti alla baracca, sul marciapiede e l'aiuola, svolazzano guanti in lattice, garze e cartacce vecchi di mesi. Nell'erba risplende un lenzuolo. Le infermiere scendono a lasciare i sacchi neri e le casse sigillate con i rifiuti infettivi. Entrano nella baracca. Poi risalgono nei reparti con le stesse ciabatte di gomma. Fanno lo stesso le colleghe di quasi tutti i padiglioni.

Cumuli di rifiuti
Chissà se l'impresa che gestisce il subappalto dello smaltimento ha una scopa nuova. La cooperativa ha sede nel deposito dell'ospedale dove viene accumulato il materiale pericoloso. Le casse con i rifiuti sono sul rimorchio di un Tir, parcheggiato senza motrice. E' pieno ma non parte. Altre centinaia sono accatastate sotto la tettoia. Tutto questo, a pochi passi dalla centrale termica e dalle cisterne di combustibile. Raccontano che la muraglia di casse di plastica sia cresciuta nelle ultime settimane. Da quando hanno deciso di ridurre le corse dei camion che le portano all'inceneritore. Prima i rifiuti venivano smaltiti tutti i giorni. Lo diceva ieri un dipendente: "Li trasferiscono a Reggio Emilia. Svuotano il contenuto nell'inceneritore e lavano le casse per rimandarle indietro. Adesso però il camion arriva solo una volta ogni tre giorni". E la scopa? Meglio lasciar perdere. Oggi dei tre colleghi di turno, due giocano a carte sul tavolo del piccolo ufficio. Il terzo dorme sul trattore, con le gambe all'insù appoggiate al parabrezza.

Niente acqua
Qualcosa scricchiola pure nei servizi del blocco Sud. Le avveniristiche fotocellule che aprono i rubinetti si rompono. Niente acqua. Nessuno le ripara. Mancano le mascherine agli interruttori e i coperchi alle scatole elettriche nei bagni. Al piano -2, sotto i blocchi operatori, una cassa di medicinali citotossici è lì da giorni. Al settore C i carrelli dei rifiuti sono a pezzi. Per terra una siringa, boccette, carta, una grande macchia che sembra sangue. Al secondo piano, sul pianerottolo di terapia intensiva riservato al personale, è vietato fumare. Decine di mozziconi di sigaretta riempiono un bicchiere sul primo gradino. Altre cicche arredano il pavimento da giorni. Anche qui basterebbe una scopa.

Le nuove camere hanno già fatto arrabbiare qualche cardiologo. Sono attrezzate. C'è di tutto. Ma le hanno progettate piccolissime. Quando ci sono due letti affiancati, un tavolino per letto, magari il supporto per la flebo, si fa fatica a far entrare un defibrillatore. E in cardiologia, dove una manciata di secondi può decidere la vita o la morte, non è un imprevisto da poco. E poi la questione della privacy. La palazzina è costruita in modo curioso. Basta avvicinarsi a una delle grandi vetrate dei corridoi. Si assiste a tutto quello che accade oltre le finestre delle camere di fronte. Proprio a tutto.

Si torna sottoterra. Medicina nucleare è più o meno a metà strada del nuovo tunnel. Ed ecco una cassa con pezzi di circuiti elettronici da smaltire. Abbandonata contro il muro da 13 giorni. Lungo il percorso che accompagna i pazienti al laboratorio di radioterapia. Uno dei cantieri dove stanno raschiando l'amianto dai tubi è proprio da queste parti. Una quarantina di metri. Per questo il sotterraneo è disseminato di sacchi giganteschi. Non dovrebbero essere rimossi al più presto? "Ma sì, sono lì da quattro giorni", mente un muratore.

Gli affari di Cl
Dentro i reparti non si vede un filo di sporco. Ed è un mezzo miracolo. Perché ogni mattina decine di dipendenti con i carrelli, un secchio e gli stracci partono dal deposito sotterraneo vicino al tunnel degli escrementi.

Passano accanto a un altro cantiere per l'eliminazione dell'amianto. A volte fuori accorciano il percorso tagliando in mezzo al fango e alle erbacce. E quelle stesse ruote entrano poi nelle camere. Basta stare qui in mezzo a guardare. Proprio per le pulizie il direttore generale è sotto inchiesta. In cambio dell'appalto per i vecchi padiglioni, avrebbe ottenuto due appartamenti con lo sconto di 120 mila euro. Grazie agli imprenditori amici di Massimo Ponzoni, l'ex assessore di Formigoni in carcere per lo scandalo che lega politica, corruzione e 'ndrangheta.

In una lettera ai dipendenti Cannatelli, esponente come Formigoni di Comunione e Liberazione, sostiene che la vicenda riguarda un contratto precedente al suo mandato. Ma è davvero così? L'attuale impresa, la Teknobrill, è tra i soci del "Gruppo servizi integrati", nuova denominazione del Consorzio Santo Stefano: cioè una delle ditte che avrebbero finanziato Ponzoni. Certo, il direttore generale poteva non saperlo.
E potrebbe non sapere cosa succede nel suo ospedale. In tredici giorni di lavoro quaggiù, tra escrementi, amianto e sporcizia, il suo volto rotondo non si è mai visto.


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