domenica 16 dicembre 2012

TELEVISIONE E CATTIVE INFLUENZE. VANNI CODELUPPI, Stereotipi pericolosi sugli schermi televisivi, IL MANIFESTO, 15 dicembre 2012


Tre libri analizzano i cliché sessisti nei programmi e negli spot tv Alla luce dell'uso distorto del corpo femminile, è troppo chiedere uno «sviluppo sostenibile» anche per la pubblicità?


Le immagini in bianco e nero mostrano un'affascinante ragazza bionda vestita solo di succinta biancheria intima che per trenta secondi assume pose provocanti in mezzo a grandi statue bianche. Si tratta di uno dei tanti spot pubblicitari che passano in questi giorni sugli schermi televisivi all'ora di cena, firmato, in questo caso, da una marca italiana di intimo. Ma potremmo rintracciare moltissimi casi simili, dove i prodotti in vendita non hanno nulla a che fare con le immagini mostrate. La crisi economica è pesante e bisogna pur vendere, dirà qualcuno. E a ragione. Ma perché in Italia per vendere si cerca soprattutto di solleticare i più bassi istinti dello spettatore maschile? L'intera storia della pubblicità dimostra che si vende molto meglio quando si stimola l'intelligenza di chi guarda. Eppure siamo ancora qui a doverci lamentare di spot che fanno un uso deprecabile del corpo femminile, cioè di altrettante deleterie proposte di modello di comportamento.
Se decenni di ricerche hanno indicato che non si può stabilire se un singolo messaggio pubblicitario condizioni direttamente le azioni degli individui, è stata invece dimostrata l'influenza esercitata dall'enorme quantità di messaggi pubblicitari trasmessi. Siamo cioè di fronte a una specie di «effetto cumulato» della pubblicità. Anche perché, mentre un film o una fiction televisiva vengono visti solitamente una sola volta, un messaggio viene ripetuto decine di volte nell'arco di una giornata. E, poiché è trasmesso in uno spazio mediatico pubblico, viene visto da tutti, bambini compresi.
Bene hanno fatto allora due libri usciti di recente a mettere specificamente sotto osservazione l'uso distorto che la pubblicità fa del corpo femminile. Si tratta di Bellezza femminile e verità. Modelli e ruoli nella comunicazione sessista di Judith Tissi Pinnock, Serena Gibbini Ballista, (Fausto Lupetti Editore, pp. 212, euro 15,30) e di Specchio delle sue brame. Analisi socio-politica delle pubblicità: genere, classe, razza. età ed eterosessismo di Luciana Corradi, (Ediesse, pp. 222, euro 13). Il primo si propone principalmente come uno strumento didattico rivolto ad insegnanti che abbiano l'intenzione di aiutare gli studenti a smontare gli stereotipi sessisti presenti nei messaggi pubblicitari, ma al tempo stesso contiene anche un vivace confronto generazionale tra le due autrici sul tema della costruzione sociale della bellezza. Il secondo invece è frutto di un articolato lavoro di ricerca che ha viste coinvolte varie studiose italiane insieme a numerose studentesse e analizza a più ampio spettro tutti i possibili usi distorti che del corpo femminile vengono fatti all'interno dei messaggi pubblicitari.
A questi può essere affiancato anche il volume di Lorella Zanardo, Senza chiedere permesso. Come cambiamo la tv (e l'Italia), (Feltrinelli, pp. 237, euro 16), che propone un approccio di lettura critica non solo della pubblicità, ma di tutti i contenuti del mezzo televisivo e che è stato già recensito su questo giornale da Francesca Rigotti (14.11.2012). Insomma, i libri che trattano dello «sfruttamento» pubblicitario del corpo della donna sono ormai numerosi, soprattutto se allarghiamo la prospettiva a livello internazionale. Sembra però che queste questioni nell'Italia contemporanea interessino ben poco. E, visto quello che passa quotidianamente sugli schermi televisivi, sembrano non interessare nemmeno al Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria o all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che dovrebbero per loro natura occuparsene allo scopo dibloccare i messaggi inadeguati.
Il tema invece è importante per un paese che voglia considerarsi civile e richiede di essere messo al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica. Occorrerebbe per questo che si formasse un vero e proprio movimento d'opinione (come quello che, in parte, si è delineato in seguito all'uscita del film e del libro della stessa Zanardo Il corpo delle donne), che sia in grado di opporsi con fermezza a quello che vediamo sui nostri schermi. Altrimenti continueremo a chiederci da dove viene l'assurda violenza che si scatena sempre più frequentemente verso molte donne inermi da parte dei loro mariti e compagni, ripudiati e non. Finché infatti gli uomini continueranno a vedere grandi quantità di corpi femminili trattati come oggetti nei messaggi proposti dai media e dalla pubblicità, saranno indotti a pensare che anche le loro donne sono oggetti privi di umanità e di cui è possibile liberarsi facilmente. Certo, lo abbiamo già detto, la pubblicità svolge un ruolo importante per il sistema economico e per la società e dovrebbe continuare a svolgerlo. Ma è troppo chiedere che ci possa essere uno «sviluppo sostenibile» anche per la pubblicità? Che cioè si possano conciliare le esigenze di promozione dei prodotti delle imprese con il rispetto della dignità umana e soprattutto del corpo femminile? 

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