sabato 20 gennaio 2018

ANTROPOLOGIA. POPOLAZIONI INDIGENE IN AMAZZONIA. P. MAGLIOCCO, Esistono ancora tribù sconosciute in Amazzonia?, LA STAMPA, 20 gennaio 2018

Papa Francesco ha incontrato i popoli dell’Amazzonia e ha sottolineato quanto oggi, più che mai, siano minacciati. Nel suo discorso il pontefice ha citato i nomi di ventidue tribù. Se avesse voluto citarle tutte avrebbe dovuto mettere in fila oltre duecento nomi, ma nessuno sa veramente quanti.  



Secondo l’enciclopedia Treccani oggi sopravvivono circa metà delle 230 popolazioni presenti all’inizio del 1900. Ma è una stima probabilmente troppo pessimista.Survival International stima che siano invece circa 400, per circa un milione di persone. Solo le tribù che ancora vivono nelle foreste amazzoniche senza alcun contatto con il mondo esterno sarebbero oltre un centinaio, soprattutto in Brasile, anche se contano solo qualche migliaio di individui. La stima è basata soprattutto sul lavoro del Funai, la Fondazione nazionale degli indio, un organo del governo brasiliano che si occupa della tutela delle popolazioni indigene. 

Ogni tanto viene data notizia dell’avvistamento di tribù sconosciute, ma oggi si preferisce la definizione di «tribù incontattate», più politicamente corretta e che include l’idea che questi gruppi rifiutano il contatto con il mondo esterno. Esistono organizzazioni, come Survival International (www.survival.it/) che si occupano attivamente della loro difesa.  

Le tribù incontattate dell’Amazzonia sono le più note e numerose del mondo, ma ne esistono alcune anche in Asia e in Oceania e una persino in Messico, nella foresta del Chiapas. Tutti concordano che il rifiuto di contatto sia il risultato dell’aggressione degli occidentali nei loro confronti. È probabile, invece, che le tribù abbiano contatti tra loro, a volte anche ostili.  

Ancora oggi le popolazioni indigene risultano estremamente vulnerabili non solo per il saccheggio delle loro terre, ma anche per il contagio con malattie apparentemente banali come influenza e morbillo. 

Nel 2008 fece il giro del mondo l’immagine scattata da Survival International di un gruppo di persone con il corpo dipinto di rosso che tentavano di colpire l’aereo che sorvolava la radura nella quale vivevano con archi e frecce. L’uso di archi, anche molto grandi, per difendersi e respingere gli estranei, è stato documentato più volte.  

Due anni prima la stessa cosa era capitata a uomini del Funai che cercavano di entrare in contatto con un indigeno che viveva isolato al confine con Perù e Bolivia e che pensavano fosse uno degli ultimi uomini della tribù dei Tumaru. 

L’Amazzonia infatti si estende sul territorio di ben otto nazioni, dal Perù al Suriname, occupando un territorio che viene misurato tra 6 e 7 milioni di chilometri quadrati (il 40% dell’America del Sud, più di 20 volte l’Italia). La zona occupata dalla foresta, come si sa, si sta progressivamente riducendo. 

Il compito del Funai sarebbe quello di proteggere gli indio e di tentare di incontrarli solo quando sono in pericolo e per riunirli ad altri gruppi.  

Quando arrivarono gli europei, nelle foreste amazzoniche vivevano forse 5 milioni di persone (secondo l’enciclopedia Treccani e altre fonti), ma nel giro di un secolo questo numero si sarebbe ridotto del 75 e forse anche del 90%. Gli studi moderni hanno modificato la visione di tribù che vivevano solo di caccia e raccolta dei frutti: ogni popolazione aveva sviluppato una propria civiltà e i territori abitati erano in realtà coltivati: la stessa biodiversità della foresta sarebbe per oltre il 10% il frutto del lavoro degli uomini che l’hanno abitata. 

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