domenica 7 gennaio 2018

RELIGIONI. ANTROPOLOGIA. TRADIZIONI E POLITICA. LA BEFANA E IL FASCISMO. MOROSI, RASTELLI, Così la Befana (fascista) compie 90 anni, CORRIERE D. SERA. BLOG POCHE STORIE, 6 gennaio 2018

L’immagine di una vecchina, gobba e con il naso appuntito, che dispensa doni e in alcuni casi anche carbone, è una tradizione radicata in molti popoli e culture, del passato e del presente. Il personaggio della Befana, come la conosciamo oggi, deriva da una fusione di costumi, usanze, consuetudini, ma anche di riti e cerimonie che nei secoli si sono stratificati e che la religione cristiana (che celebra l’Epifania con l’arrivo dei Re Magi) non è riuscita a oscurare . A rendersi conto della presa di questa tradizione sulla popolazione fu anche il fascismo, che vide nelle “origini romane” della Vecchina con la scopa un valido aiuto per la “romanizzazione” del Paese. Insomma, nient’altro che uno strumento di propaganda.



Recepire e pianificare – Nel 1928, novant’anni fa, il regime arrivò così a istituire la “Befana fascista”, poi diventata “Befana del Duce” per volontà del segretario del Partito nazionale fascista Achille Starace(per avallare il culto della personalità di Benito Mussolini). Al motto di “ad ogni bimbo, un balocco, un dolce ed un oggetto utile” vennero distribuiti alle famiglie indigenti, nell’Italia grande proletaria, “pacchi della Befana” con pane, generi di prima necessità, zucchero, caffè, giocattoli. Il luogo preposto alla felicità dei beneficiari era la Casa del Fascio, che divenne sinonimo di casa di gioia e abbondanza.
La genesi giornalistica – L’idea di riprendere la tradizione, con nuova enfasi, era nata anche per dare visibilità sul territorio ai Fasci femminili e all’Opera Nazionale Dopolavoro. Fu il giornalista Augusto Turati – scelto dal Duce come nuovo segretario nazionale del partito  in sostituzione di Roberto Farinacci, nel quadro di normalizzazione dello squadrismo – che ordinò alle Federazioni provinciali del Pnf di sollecitare le donazioni in occasioni di questa festa da parte di commercianti, industriali e agricoltori, la cui gestione sarebbe stata curata dalle organizzazioni femminili e giovanili fasciste.
Mussolini mette il cappello – A partire dal 1934, dopo la caduta in disgrazia di Turati (rispetto ad altre personalità del regime, aveva aderito al movimento fascista relativamente tardi, tra il 1920 e il 1921. Da caporedattore de “La Provincia di Brescia”, quotidiano moderato, aveva poi collaborato con il Corriere della Sera e diretto nel gennaio del 1931 La Stampa), la “Befana fascista” mutò la denominazione (per poco) – come ricordavamo sopra – in “Befana del Duce” o “Natale del Duce”. È bene ricordare che l’unico Natale riconosciuto da Mussolini era quello romano del 21 dicembre, e che l’inizio dell’anno era stato spostato al 28 ottobre per ricordare l’anniversario della Marcia su Roma, atto di nascita uffciale del regime. L’iniziativa continuò anche durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, riprendendo la denominazione “Befana fascista” dopo l’instaurazione della Repubblica Sociale Italiana.
La Befana di tutti – La nuova Età dell’Oro era iniziata. Significativa, ad esempio, fu la “Befana fascistaante litteram organizzata a Buenos Aires dalla sezione argentina dell’Associazione lavoratori fascisti all’estero, che il 6 gennaio 1927 vide una grande partecipazione di emigrati italiani, con la distribuzione di 1.500 doni. Senza dimenticare che nel 1931, terzo anno dell’iniziativa, i pacchi raccolti furono oltre un milione. A quel punto Mussolini volle intestarsi direttamente l’operazione. La “Befana Fascista”, figlia dello stato corporativo mussoliniano, si frantumò in una miriade di befane postbelliche organizzate dalle categorie sociali e lavorative: la Befana dei tramvieri, quella dei vigili urbani, quella dei ferrovieri. Tanto che alla fine se ne impossessò la figura più materna della Repubblica: la Rai. Distribuendo anch’essa i suoi pacchi.

Nessun commento:

Posta un commento