Catania c’è «Mille e una notte, la tua kebbaberia di fiducia». Su TikTok il titolare condivide quasi ogni giorno piccoli video promozionali dove mostra le sue creazioni culinarie. Non ha un particolare seguito fino a che ne pubblica uno con la figlia, spigliata e simpatica bimba sui nove, dieci anni. Il video diventa virale e delle centinaia di commenti una metà la prende in giro per l’accento e per l’aspetto fisico, l’altra tenta di difenderla. Nessuno è interessato al kebab al pistacchio. Il video è ancora online e chissà se la bimba quei commenti li ha letti o li leggerà mai e per quanto tempo digitando la parola “kebab” compariranno il suo sorriso e il livore degli altri.
Quello dei baby influencer è un piccolo esercito mutabile e impossibile da contare perché il bambino sta bene su tutto. Corsi online o cibo, vestiti o giochi, non conta: sul palcoscenico digitale i bambini «perfomano» bene. Esattamente come cani e gatti, il paragone non sia malinteso. Vuol dire che quando sui social appaiono gli occhioni e le manine di un bimbo noi ci fermiamo, lo guardiamo più volentieri, mettiamo il cuoricino. Con il tempo ci si affeziona.
Non è una percezione, ma marketing. Secondo l’analisi condotta dalla social media strategist Serena Mazzini, che con Alleanza Verdi Sinistra ha lavorato a una proposta di legge sul diritto all’immagine dei minori, il tasso di interazione di contenuti che hanno come protagonisti i bambini è circa tre volte maggiore rispetto a quelli con solo adulti. Dolci, disponibili testimonial inconsapevoli del mestiere di mamma e papà. A voler essere molto pragmatici, non bisogna nemmeno pagarli. Nella proposta di legge depositata alla Camera ad aprile si prevede sia il diritto all’oblio per i maggiori di 14 anni (l’obbligo di cancellare ogni contenuto condiviso nel tempo dai genitori) sia un regolamento sullo sfruttamento online dell’immagine dei minori.
Il caso più eclatante è, se ci fosse bisogno di ricordarlo, quello dei figli degli ex Ferragnez. Raccontati su Instagram dalla prima ecografia in poi, scomparsi con la fine del brand e alla separazione dei genitori. Gli esempi si sprecano. Mariano Di Vaio e la moglie Eleonora Brunacci hanno quattro figli. A ognuno di loro, poco dopo la nascita, anziché un libretto di risparmio hanno aperto un account personale in doppia lingua, italiano e inglese. Requisito minimo considerato che sono testimonial, tra le altre cose, di una piattaforma internazionale di e-commerce. Gaia e Lara Masseroni sono figlie d’arte: la mamma è un’influencer, Elisabetta Bertolini, loro baby modelle. «Per loro è un gioco, si divertono, è esattamente quello che volevano fare» assicura lei, più volte interrogata sulla scelta di dare un mestiere alle figlie prima di iscriverle alle elementari. Leo Toys ha 12 anni, ama i dinosauri e la tecnologia, collabora con Disney e Nintendo, i suoi numeri su YouTube sono strepitosi. I primi video dove scarta i regali ripreso da mamma e papà li ha fatti quando aveva 6 anni. Un bimbo di talento, spigliato, brillante. Ma chissà se davvero avrebbe scelto di impegnare tutte le sue qualità nelle televendite.
Se alcuni baby influencer sono protagonisti di vite che non hanno scelto, altri somigliano più a degli oggetti di scena. Il bimbo è ripreso di spalle e sta in braccio alla mamma. Si vede una piccola porzione del visino, è tutto rosso. Piange perché lei gli ha tolto un mestolo, da lui trasformato in una spada per combattere una poltrona-drago. Nel video la mamma si scusa per averlo sgridato, lui ribatte: «Potevi essere più gentile». Avrà due, forse tre anni. Nel post c’è il titoletto del video, che è «chiedo scusa a mio figlio per avergli urlato addosso». È una scena comune, banale, ma allo stesso tempo perfetta per pubblicizzare, altra parola più adatta non c’è, il lavoro di mamma. Claudia è un’educatrice e vende consulenze personalizzate e corsi online per «aiutare i genitori». Il contenuto con il bimbo in lacrime fa quasi 200 commenti nel giro di mezz’ora. Qualcuno fa notare che un account dedicato all’educazione rispettosa dovrebbe avere più attenzione alla privacy del piccolo. Lei risponde dicendo che le lacrime sono normali e che lei si preoccupa, eccome, del futuro di suo figlio. Tanto da aver aperto un asilo nel bosco. A proposito, si riparte a settembre. Vi volete iscrivere?
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