L'assassinio della giovane Sharon Verzeni, avvenuto in una cittadina in provincia di Bergamo per mano del 31enne Moussa Sangare’, nato in Italia da una famiglia di origini maliane, mi ha ricordato la storia di Simone Parondi nel film “Rocco e i suoi fratelli” (L. Visconti, 1960)
Analogo il retroterra migratorio, migrazioni interne al tempo dell'impiego di manodopera a basso costo nel nord-Italia degli anni del boom; migrazioni esterne al tempo della globalizzazione, dall'Africa in Europa per motivi analoghi;
analoga la provenienza della famiglie dal sud considerato povero verso il nord ricco: la Basilicata, nell’Italia dell’industrializzazione, il Mali nel mondo della globalizzazione; simile il tentativo di ottenere il successo e i soldi nell'industria dello spettacolo: lo sport e la boxe per Simone, la musica rap per Moussa;
analoga anche la violenza presente nelle due “discipline” spettacolari;
analogo il fallimento e l'esito tragico di questa ricerca.
Uniche differenze: nel film di Visconti, il fratello di Simone, Rocco, cercherà di riscattare il fratello sacrificando i suoi progetti di vita e diventando lui una star della boxe mentre Simone finirà in carcere; nella vicenda di Moussa, il ragazzo si perderà, dopo i fallimentari tentativi di far fortuna nel mondo della musica più di tendenza oggi, uccidendo senza essere aiutato da nessuno. Le istituzioni, dai servizi sociali, alla polizia sono rimaste a guardare nonostante la famiglia avesse denunciato più volte le intemperanze e violenze del giovane.
Le vittime sono entrambe donne, ma la prima, Nadia, aveva giocato un ruolo importante intessendo relazioni sentimentali con i due fratelli; la giovane Sharon si è trovata per caso, in strada, bersaglio di una violenza apparentemente gratuita. Sia l'una che l'altra rimangono ai margini di storie in cui i protagonisti sono maschi, violenti e in cerca di affermazione e prestigio sociale a tutti i costi.
Nella storia cinematografica, la famiglia, seppur in un contesto sociale non più tradizionale e di modernità italiana agli albori, sembra ancora in grado di esercitare una funzione difensiva e riparatoria mentre le istituzioni intervengono solo a delitto compiuto. Nella vicenda di Terno d’ Isola, la famiglia, in gravi difficoltà per ragioni culturali, economiche e psicosociali, (due donne sole e il padre morto) non in grado, in un contesto iper moderno, extra culturale, imperfettamente integrato, di far fronte a determinate problematiche, cercherà aiuto, inutilmente, da quelle altre istituzioni che, almeno in Italia, da tempo non ci sono più.
Morale: a distanza di 60 anni, lo “sviluppo senza progresso” (Pasolini) o lo “sviluppo a tutti i costi” (Eco) capitalistico, in pieno corso dal secondo dopoguerra, applicato, dopo gli esperimenti su piccola scala, su scala globale, è capace di riprodurre gli stessi risultati e le stesse tragedie nell’indifferenza delle classi dirigenti conniventi, ora come allora, con questo sistema sostanzialmente mortifero
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