giovedì 26 luglio 2012

SULLA PUNTATA DEDICATA A PASOLINI. UN COMMENTO DI ROBERTA TABARRINI, DOCENTE DI SCIENZE UMANE, 26 luglio 2012


Ho visto la trasmissione Controcampo e l’ho trovata molto interessante.

Ragionavo su alcune cose:


in primo luogo, il ritmo della trasmissione è, rispetto a quello incalzante al quale siamo abituati, piuttosto lento, direi quasi meditativo. Fa piacere vedere e ascoltare un dibattito televisivo in cui i partecipanti sono uomini politici e di cultura che arrivano in tv con un discorso preparato (in alcuni casi si vede che chi prende la parola legge degli appunti che, forse, ha preparato prima). Oggi siamo abituati agli interventi onnopervasivi degli “opinionisti”.

 Il conduttore richiama al fatto che “ciò che è opinabile per la magistratura, non può essere oggetto di certezza” da parte di chi sta parlando in televisione. Anche questo mi sembra un aspetto che raramente ritroviamo nelle trasmissioni di oggi.

Gli interventi non sono gridati, il linguaggio utilizzato non è volgare né offensivo. Semmai rischia di evidenziare un certo distacco rispetto al pubblico. Aveva allora forse ragione Pasolini a dire che “parlare dal video è come parlare ex cathedra”. Mi chiedo: quanti di coloro che a quei tempi guardavano la tv erano in grado di comprendere il significato di questo dibattito?

Altro spunto di riflessione riguarda la figura di Pasolini che definirei quasi un “profeta apocalittico”: oggi possiamo solo constatare la veridicità della sua analisi sociologico-antropologica. La civiltà neocapitalistica, vera rivoluzione borghese, ha creato l’uomo consumista, ha eliminato ogni differenza qualitativa. Certo, hanno ragione coloro che sono intervenuti al dibattito televisivo a dire che quelle di Pasolini non sono idee nuove. Fa piacere sentire in tv i nomi di Tocqueville e degli esponenti della Scuola di Francoforte. Credo tuttavia, come afferma Pedullà, che Pasolini abbia avuto il merito di descrivere dettagliatamente la realtà italiana di quei tempi, realtà che al giorno d’oggi sembra ingigantita, esasperata.

Riflettevo su questo e mi è tornato in mente un episodio accaduto a scuola, circa tre anni fa, quando una nostra collega, ormai in pensione, lamentava il fatto che le alunne potessero permettersi capi di abbigliamento molto costosi che l’insegnante in questione aveva potuto acquistare soltanto dopo anni di lavoro. Veniva meno uno degli aspetti simbolici della distinzione socio-clturale tra professore e alunno. Ma i simboli parlano di una realtà che cambia, e il fatto che l’alunno si vesta e si atteggi come un professore denuncia un assottigliamento della linea di demarcazione tra classi e ceti. In altre parole questo fatto, apparentemente insignificante, parla di una distinzione di ruoli sociali che è sempre più labile. Non si può negare che oggi il ruolo dell’insegnante abbia perduto, a livello sociale, quel tipo di riconoscimento che aveva fino a qualche anno, o forse decennio, fa.

Condivido l’analisi che fa Pasolini e penso anche io che la produzione di beni superflui abbia cambiato antropologicamente gli italiani (e non solo gli italiani).

Interessante, da questo punto di vista, è il film “La classe operaia va in paradiso”.

Ciò che invece critico di Pasolini è un’interpretazione della realtà dicotomica, se non manichea, che vede nella classe contadina e nel sottoproletariato l’incarnazione del mondo antico, reale, genuino. Credo che sia semplicistico pensare che il “bene”, il “reale”, il “genuino” siano rappresentati da una classe sociale nella sua interezza. La realtà, secondo il mio modo di vedere, è ben più complessa. Non solo ritengo che non esista una classe sociale “vera”, “autentica” “buona”, ma non credo esistere neanche una persona che possa essere definita come “buona” o “autentica” in sé; dipende dalle circostanze. Quelle circostanze che hanno portato la classe contadina a subire delle trasformazioni che, tuttavia, non sono necessariamente il “male”. Non associo alla civiltà contadina, né tantomeno al sottoproletariato le qualità che le riconosceva Pasolini. Spesso povertà è sinonimo di crudeltà, ignoranza, miseria, violenza. Quella violenza della quale lui stesso è stato vittima.

Ecco, paradossalmente egli ha vissuto sul suo corpo il senso della primigenia forza che caratterizza, io credo, la “purezza” del genere umano.

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