venerdì 13 settembre 2013

ITALIA. FEMMINICIDIO. SILVIA VEGETTI FINZI, Essere e apparire, IL CORRIERE DELLA SERA, 13 settembre 2013

L'omicidio di Gambara e le finte vite su Facebook

La foto, che in questi giorni campeggia sulle pagine dei giornali e gli schermi tv, rappresenta l'ultimo paradosso del femminicidio, la luna nera che incombe sulla relazione tra i sessi, quando il raggiungimento di importanti conquiste civili dovrebbe garantire una pacifica convivenza.



Dalla carlinga di un velivolo da diporto escono i visi sorridenti di due giovani: lei reclina il capo sulla spalla di lui ed entrambi fissano con fiducia il medesimo orizzonte. Intorno sembra risuonare la musica di Vasco Rossi: «voglio una vita spericolata, voglio una vita come Steve Mc Queen...». Ma quella coppia non è una coppia e l'orizzonte è già gravido di minacce. Ma che importa? Ciò che conta è come si appare, non ciò che si è. Peccato che la disinvoltura con cui si ribalta lo scenario dell'esistenza, affidando alle immagini il compito di smentire la realtà, non basti a comporre una identità lacerata: da una parte desiderio di una vita «per bene», dall'altra la voglia matta di superare i limiti e, oltrepassata la soglia del piacere, di affidarsi all'eccitazione, alla trasgressione, all'eccesso.
In questo caso, ormai assunto a mito, le richieste di riconoscimento dell'amante clandestina (fondate sull'attesa di un figlio) introducono un elemento di realtà che rende insostenibile la pretesa di normalità. Scambiate le parti, sembra di ritrovare il copione del dramma di Parolisi, che sacrifica la moglie pur di negare l'adulterio e di evitare la responsabilità della separazione. In questi casi tutto sembra essere reversibile: la moviola del tempo può girare all'indietro e, ciò che è accaduto volatilizzarsi lasciando il posto a una nuova narrazione.
Come se l'onnipotenza infantile fosse mantenuta per sempre e il gioco della vita, inceppato nella realtà, potesse, continuare sull'altra scena, quella virtuale. È qui infatti che la moglie tradita si difende affermando i valori materni contro l'avvenenza della rivale, è qui che il marito fedifrago accusa il suo dipendente di una paternità che non sa accettare, è qui che, dopo il probabile omicidio dell'amante, il presunto assassino si presenta su Facebook, premurosamente avvinto ai figlioletti. Peccato che, dietro questo schermo di perbenismo, si celino fatti d'inaudita crudeltà. La ricostruzione dell'omicidio è così zeppa di gesti violenti (percosse, strangolamento, avvelenamento, incendio, esplosione) da evocare lo scenario onirico, quando la parte razionale della mente si ritira lasciando dilagare, nell'immaginario, le pulsioni che la civiltà s'illude di aver domato per sempre. Ma che cosa favorisce il passaggio dal sogno alla realtà? Credo si tratti, in questi anni, della disgiunzione tra realtà e verità, l'illusione di un mondo diverso, ove conflitti, incomprensioni, ambiguità e ambivalenze possano trovare una soluzione senza rinunce, senza sacrifici e compromessi, nel pieno godimento di una onnipotenza dietro cui si cela il volto inesorabile della morte.

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