domenica 22 marzo 2015

PARAGUAY. ANTROPOLOGIA. SOCIETA' CHE VOGLIONO RIMANERE DIVERSE. CONNESTARI, BOMPAN, Iphone e facebook? La modernità è privazione della natura, LA STAMPA, 22 marzo 2015

«Solo poche persone sono coscienti di quanto grande e repentino sia stato il cambiamento dei popoli indigeni al contatto con i coloni bianchi» racconta Benno Glauser, filosofo svizzero stabilito in Paraguay dal 1977 e fondatore dell’Iniciativa Amotocodie un progetto per la salvaguardia dei territori e delle comunità originarie che vivono in isolamento volontario nei territori del nord.




Parlare della cultura indigena del Chaco Paraguayano, continua Glauser, è come parlare della cultura europea: significa raggruppare popoli tanto diversi quanto lo sono italiani, tedeschi e francesi. Eppure questi nativi hanno un comune denominatore: una relazione profonda con la natura, di scambio, una relazione paradigmaticamente differente dal modello della cultura dominante, che Glauser definisce estrattivo, perché dalla natura prende e estrae, solamente. 

Al contrario il modello di vita tradizionale manteneva con la natura una relazione d’interdipendenza ed equilibrio. Miti e racconti spiegavano, con dovizia di, come prelevare il “minimo corretto”. In altre parole: giusto il necessario per mantenere il mutuo benessere dell’uomo senza alterare la natura. «Una regola che ha garantito per molti secoli l’equilibrio tra la foresta e le oltre quattordici etnie che la abitavano senza comprometterne le risorse», continua Glauser. Ma quell’insieme di norme, miti e saperi, che per generazioni e generazioni hanno assicurato la sopravvivenza delle comunità, non trova più applicazione nel contesto odierno. «Che senso avrebbe tramandare l’apprendimento della caccia, allorché vengono a mancare gli spazi per praticarla? Come tramandare la conoscenza delle piante medicinali, quando i luoghi dove crescevano sono stati trasformati in pascolo? e come praticare lo sciamanesimo, bandito come culto di satana? » 

La vita tradizionale sta scomparendo. Per molti indigeni oggi l’unica opzione è offrire mano d’opera negli allevamenti dei grandi proprietari terrieri. Gli uomini lavorano come braccianti per ripulire dalle erbacce i pascoli, mentre le donne offrono servizi di pulizia nelle ville dei coloni. Lavori informali e giornalieri che permettono di acquistare pane essiccato, pasta di scarsa qualità, farina e un poco di carne per tutta la famiglia. Le prospettive economiche e culturali offerte ai giovani indigeni sono altrettanto magre. «Andare all’università è praticamente impossibile. I corsi sono costosi, e per di più bisogna pagare l’affitto, il cibo ed i libri. I genitori non hanno soldi e il governo non offre nessun aiuto per gli studenti indigeni», lamenta Gerolly Solano, diciassettenne e figlia di una delle donne leader della comunità El Estribo. Schiacciati dalla pressione di una cultura ancestrale che sono incapaci di incarnare e frustati da un’incalzante quanto inaccessibile cultura dominante, i giovani indigeni sembrano rassegnati ad un futuro senza identità. 

«Per capire la situazione socio-psicologica degli indigeni del Chaco bisogna conoscere la storia del contatto con i bianchi, che è in realtà la storia della resa della propria cultura davanti all’invasione occidentale» racconta Hannes Kalisch, tedesco naturalizzato in Paraguay, fondatore dell’associazione “Nengvaanemquescama Nempayvaam Enlhet” che da anni raccoglie le memorie degli anziani al fine di costituire una sorta di biblioteca orale del popolo Enhlet, una delle etnie del Chaco. 

All’arrivo dei coloni Mennoniti dalla Russia segui lo scoppio della guerra del Chaco (1932-35) e una terribile epidemia di vaiolo che, in poco più di un mese decimò interi villaggi indigeni. Al timore degli stranieri e delle milizie armate si aggiunse la paura della malattia e della morte. Nel 1936 ebbe poi inizio l’epoca dell’evangelizzazione. Chiamati dai Mennoniti, i missionari evangelici nord-americani vennero a diffondere il cristianesimo e contemporaneamente a imporre il modello di civilizzazione occidentale. Nel ’52, dopo vent’anni di resistenza, il popolo Enhtlet decise di andare in massa a battezzarsi e con questo atto di sottomettersi ed adottare lo stile di vita dei Mennoniti. Era chiaro, infatti, che la vita tradizionale nella foresta, indissociabile dalla libertà di spostarsi ed accedere alle risorse del territorio, non sarebbe più stata possibile. Anche se con modalità e tempistiche differenti, per tutti i popoli indigeni del Chaco l’avvento della modernità fu il risultato della sedentarizzazione forzata, e con essa dell’accettazione del modello economico-culturale dominante, a cui contribuirono la violenza della guerra, della malattia e dell’espropriazione dai territori ancestrali. Si tratta di un vero e proprio trauma collettivo ancora irrisolto, che spiega per molti versi l’attitudine passiva e remissiva delle comunità indigene di oggi.  

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