Linguaccia. Bocca spalancata. Labbra in fuori come per schioccare un bacio. Faccia triste e faccia allegra. Avete mai provato a fare le smorfie davanti a un neonato? Vi ha risposto facendo le boccacce? La letteratura scientifica degli ultimi decenni ha radicato la convinzione che i bambini siano capaci di imitare i versi degli adulti sin dalla nascita. Proprio su questo presupposto sono state costruite intere teorie che spiegano lo sviluppo delle abilità cognitive complesse necessarie per le interazioni sociali. Ma potrebbe essere arrivata l’ora di un ripensamento. Un lavoro appena pubblicato su Current Biology, infatti, confuta l’idea che l’imitazione sia una facoltà innata. E c’è da prenderlo sul serio, perché quello firmato da Virginia Slaughter e dai suoi colleghi dell’Università del Queensland in Australia è il più esteso studio longitudinale mai condotto su questo comportamento infantile.
L’esperimento su cento bambini
Se il vostro bambino nelle prime settimane di vita non risponde alle boccacce in modo puntuale, dunque, non preoccupatevi. È del tutto normale. Se vi sembra che lo faccia, provate a ripetere il gioco. Probabilmente vi accorgerete che a volte replica con la smorfia giusta e a volte no. Anche se il desiderio di stabilire una relazione con lui potrebbe portarvi a credere che le corrispondenze siano frutto di una reale intesa anziché del caso. I ricercatori australiani hanno fatto la prova con oltre 100 bambini, anche se poi il campione si è ridotto un po’ perché hanno dovuto escludere chi dormiva o piangeva. Hanno presentato loro 11 modelli da imitare, tra espressioni facciali, suoni (schiocchi, mugolii, vocali trascinate), movimenti della mano (protrusione del dito indice, gesto dell’afferrare). La prima volta che hanno fatto l’esperimento i piccoli avevano una settimana di vita, poi l’hanno ripetuto a 3, 6 e 9 settimane di età. Se sorridendo ai neonati si ottenesse in risposta un sorriso più spesso che una linguaccia, allora si avrebbe una prova che sono già in grado di imitare gli adulti. Invece è risultato che la probabilità di una certa risposta è la stessa indipendentemente dal gesto esibito dallo sperimentatore.
Le basi biologiche dell’empatia
Gli autori dello studio ipotizzano dunque che la capacità emulativa emerga più avanti, intorno ai 6-8 mesi di età, come sostenuto inizialmente dal pioniere della psicologia dello sviluppo Jean Piaget. Gli studi che in seguito hanno creduto di dimostrare un’abilità innata, probabilmente, avevano qualche difetto, a cominciare da un campione di bambini troppo esiguo. Potrebbe aver influito anche un “bias di pubblicazione”, nel senso che le riviste scientifiche preferiscono pubblicare gli studi con i risultati più eclatanti. A tutti noi piace credere che i bambini abbiano grandi capacità sin da quando vengono alla luce. Ma in fondo è altrettanto stupefacente pensare a quante cose riescono a imparare dopo la nascita. L’ipotesi innatista ha guadagnato consensi anche sulla scia del successo della teoria dei neuroni specchio. Queste cellule cerebrali sono attivate dalla visione di un’azione anche se a compierla è un’altra persona e contribuiscono a spiegare le basi biologiche dell’empatia, ma non è detto che questo meccanismo funzioni da subito, potrebbe anche essere appreso.
Manifestazione dell’intelligenza umana
La posta in gioco del dibattito è elevata, perché l’emulazione è considerata una facoltà critica per lo sviluppo dei bambini e forse persino un aspetto centrale dell’unicità umana. Per imparare gli studenti devono riuscire a copiare il maestro, gli amanti si trovano inconsciamente a rispecchiare l’uno la postura dell’altro, gli adulatori fanno lo stesso con le pose dei potenti. Nei discorsi di tutti i giorni tendiamo ad associare l’imitazione a comportamenti superficiali e persino fraudolenti. Ma, per quanto ne sappiamo, la maggior parte degli animali non sono capaci di imitare. L’imitazione, insomma, è una delle prime manifestazioni dell’intelligenza umana.
Nessun commento:
Posta un commento