sabato 2 novembre 2019

ANTROPOLOGIA. AMAZZONIA. MORTE DI UN LEADER INDIGENO. D. MASTROGIACOMO, Amazzonia, ucciso un altro leader indigeno: proteggeva la foresta, REPUBBLICA.IT, 2 novembre 2019

E’ l’ultima vittima di una strage continua, sistematica, preordinata e quasi sempre impunita. Si chiamava Paulo Paulino Guajajara ed era un leader indigeno di Araribóia, nella regione di Bom Jesus das Selvas, stato di Maranhão, nord del Brasile. Da due mesi era diventato uno dei tanti “Guardiani della foresta” che le comunità indigene hanno creato per pattugliare le foreste dell’Amazzonia e fare il lavoro che lo Stato centrale non fa.





Un nemico dei taglialegna, quel vero esercito di mercenari, sbandati, piccoli e grandi criminali che, aiutati dalle politiche ambientali del presidente Bolsonaro, sono tornati a frotte nel cuore della foresta pluviale. Paul Paulino è finito al centro di una scorribanda dei nuovi invasori disposti a tutto pur di portare a termine il lavoro. Nella breve ma violenta battaglia ci ha rimesso la vita un altro guardiano, Laércio Guajajara, della stessa tribù del primo. 
La notizia è stata diffusa da Greenpeace che assieme a tante altre ong è particolarmente attiva nei territori presi di mira dai tagliaboschi e dagli invasori che su ordine dei potenti agrari si accaparrano fette di foresta e distese di vegetazione affidate alle tribù indigene dalla Costituzione. 

La guerra per il controllo delle terre è una costante in molti paesi in cui si affaccia l’Amazzonia e altre importanti foreste. C’è in ballo un business che vale miliardi di dollari. Non solo terra da usare per le coltivazioni intensive, per abbattere alberi e ricavare legno da esportare. C’è il narcotraffico, ci sono le estorsioni, i pizzi, le tasse illegali per il diritto di passaggio.
Due giorni fa in Colombia, nella Cauca, regione del sud ovest dove soprusi, omicidi e violenze sono quotidiani, perché strategica per le bande di narcos e della guerriglia, sono stati uccisi 5 indigeni che facevano parte di una commissione governativa incaricata di svolgere dei rilievi, anche con l’aiuto di droni, per la costruzione di strade altre infrastrutture. 

Anche questi erano tutti indigeni locali. I corpi mostravano i segni di torture. Uno è stato decapitato. La strage, secondo la comunità indigena locale, è opera di un “Gao”, Gruppi armati residuali organizzati, in particolare della colonna “Dagoberto Ramos”, transfughi della guerriglia che non hanno aderito all’accordo di pace del 2016. La zona, nella comunità indigena di Corinto, è nota per essere un corridoio importante per la produzione di coca e marijuana e come transito per il loro trasporto verso il Centro America e poi negli Usa. Altri due leader indigeni locali erano stati fatti fuori due giorni prima, il 29 ottobre.

Il governatore del Cauca, Óscar Rodrigo Ocampo, è sicuro che dietro questa raffica di omicidi ci sia il narcotraffico. Lo ha denunciato in un collegamento all’emittente W Radio. “Stiamo vivendo qualcosa di molto diverso dalla guerra subita negli ultimi 52 anni. I killer agiscono con determinazione e ferocia. Non ci sono precedenti e questo ci preoccupa molto”. Il presidente Iván Duque ha deciso di spedire sul posto il ministro degli Interni e 300 tra soldati e squadre dei corpi speciali. La popolazione reclama sicurezza, esige il minimo di garanzia per la propria incolumità. Confrontarsi con decine di bande, ben armate e organizzate, e i gruppi dissidenti delle vecchie Farc non è facile. I territori sono stati abbandonati a lungo dallo Stato e nessuno è disposto a mollare un bottino miliardario.

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