mercoledì 26 agosto 2015

PSICOLOGIA DEL PIANTO. E. DI PASQUA, Sfiducia in se stessi e film drammatici: ecco perché si piange, CORRIERE DELLA SERA, 26 agosto 2015

Le lacrime a volte sgorgano per strani motivi e succede che si versino più lacrime per un film drammatico che per un lutto di una persona cara. Insomma, le ragioni del pianto sono complesse e non sempre la quantità di lacrime è proporzionale al dolore e alla frustrazione. Accade magari che in un certo momento si è più vulnerabili, che un episodio, un film o una persona tocchino corde particolari della nostra sensibilità, ed ecco che si scoppia a piangere a dirotto. E poi non si piange solo per tristezza, ma anche per ansia, frustrazione, rabbia, stress e persino per gioia. 

Lo studio
Una ricerca britannica commissionata da YouGov ha cercato di individuare le principali ragioni per le quali si scoppia a piangere e per prima cosa ha riscontrato che i più piagnucoloni sono i giovanissimi, tra i 18 e i 24 anni, e le donne, che piangono incredibilmente più degli uomini. Lo studio ha quindi diviso il segmento anagrafico dei ragazzi da quello degli adulti e ha notato che a seconda dell’età si piange per motivi differenti (e ciò non stupisce). 
I giovani piangono per scarsa autostima e tristezza
I giovani piangono nel 44 per cento dei casi a causa della scarsa fiducia in sé stessi. E’ l’età in cui non si crede ancora sufficientemente nelle proprie potenzialità, forse non ci si conosce neppure e ci si deve ancora misurare con la vita. E questa insicurezza genera un senso di frustrazione che sfocia nel pianto. I ragazzi piangono poi frequentemente (nel 43 per cento dei casi) per un senso di tristezza diffuso e non ben identificato e per l’ansia, mentre nel 39 per cento dei casi si piange per lo stress del lavoro o della scuola e per il 38 per cento dei casi per difficoltà famigliari. 
Gli adulti piangono per film «strappalacrime» o difficoltà in famiglia
Per i grandi invece l’ordine è differente. Gli adulti piagnucolano soprattutto per i film strappalacrime (come la stessa definizione suggerisce), che il 37 per cento degli intervistati identifica come prima causa di pianto, mentre nel 29 per cento dei casi la gente dichiara di piangere per le difficoltà famigliari o relazionali e nel 26 per cento dei casi per la tristezza altrui e l’empatia con il prossimo. Pesa altrettanto nelle lacrime quel senso di tristezza generale al quale a volte non si sa dare un nome e nel 25 per cento dei casi gli adulti piangono per un evento luttuoso. Il fatto che la morte di una persona cara sia ultima in classifica significa sicuramente che si tratta (per fortuna e nella normalità dei casi) di un evento raro. Ma significa anche che talvolta è più facile piangere per un film drammatico, e dunque per una finzione, che per la drammaticità dell’esistenza reale. 
Che piangano più le donne è facilmente spiegabile come il retaggio di una educazione di genere secondo la quale i maschi non dovrebbero piangere perché ne risente la loro virilità. Il fatto che ormai entrambi i generi abbiano chiaro che non c’è nulla di più sbagliato a volte non basta per scrollarsi di dosso questa “memoria ancestrale”.
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