domenica 25 ottobre 2015

ANTROPOLOGIA. IL FAMILISMO AMORALE. M. NIOLA, Herzfeld: "Il familismo è morale, il Sud non se ne vergogni", LA REPUBBLICA, 5 agosto 2014

IL MEDITERRANEO si racconta da tremila anni e non è mai lo stesso, diceva Fernand Braudel. Ma, visto da Harvard, il Mediterraneo non sembra più lui. Smontato in mille pezzi si decostruisce davanti ai nostri occhi. È la sensazione di spaesamento che si prova incontrando un antropologo come Michael Herzfeld, il più grande specialista di culture mediterranee e professore nella prestigiosa università bostoniana. Quest'uomo gioviale non le manda a dire. La provocazione ce l'ha nel Dna. E il relativismo lo applica fino alle estreme conseguenze.



Facendo a fettine stereotipi e pregiudizi sul Mare Nostrum. Ma anche valori e convinzioni portanti dell'Occidente moderno. Quelli che fanno la differenza tra le due Europe, tra il Nord avanzato e il Sud arretrato. Herzfeld è Milano in occasione del Laboratorio Expo, il progetto della Fondazione Feltrinelli e di Expo 2015 curato da Salvatore Veca. Partiamo subito da un suo cavallo di battaglia: l'onore. Che, da quello di Achille all'Onore dei Prizzi, resta la questione più spinosa dell'immaginario mediterraneo.

Ma è proprio vero che da queste parti l'onore è tutto?
"Il rapporto tra l'onore e il Mezzogiorno d'Europa è diventato un circolo vizioso. Quasi un cliché. Al punto che negli anni Sessanta si arrivò a definire il Messico un paese mediterraneo, perché avrebbe valori comuni come il machismo. Eppure persino in Grecia, dove faccio ricerca da molti anni, la parola philotimo  -  da filos e timè, letteralmente amico dell'onore, ma che molti traducono con amor proprio, orgoglio e dignità  -  ha significati molto diversi da una regione all'altra. Ecco perché sono molto critico verso chi sostiene che esista una cultura mediterranea omogenea, caratterizzata dall'ideologia dell'onore o dal familismo o dalla corruzione o dalla criminalità. Per me è molto più utile cercare le differenze nei vari contesti".

Nel V canto dell'Iliade, Agamennone pronuncia la frase: "Se gli uomini pensano all'onore, sono più i vivi che i morti; ma se si danno alla fuga non c'è più gloria né scampo". Perfino nella Grecia omerica, che è il grande codice del Mediterraneo, l'onore era già mille cose e mille nomi.
"A proposito di poemi, per me è sempre fondamentale studiare le "poetiche sociali", cioè analizzare lo scarto tra la norma collettiva e la creatività individuale. Tra l'astrattezza dei codici dell'onore e i comportamenti concreti delle persone".

È proprio in quello scarto che di fatto si produce la storia.
"Ecco perché non penso che abbia molto senso parlare dell'o- nore come se fosse l'aspetto caratterizzante di questa parte di mondo. Soprattutto perché dentro una lingua ci sono varie sfumature. Quello che un calabrese intende per onore è diverso da quello che intendono un toscano o un romano. A Creta, per esempio, un uomo è sempre pronto a uccidere chi lo offende o disonora le donne della sua famiglia. In altri paesi questo è tutto fuorché onorevole. A fare la differenza è il comportamento del cosiddetto uomo d'onore".

Quindi la classica divisione tra il Nord come civiltà della colpa e il Sud come civiltà dell'onore, cara a studiosi come Ruth Benedict e Eric Dodds, non la convince?
"Non mi convince per niente! Devo dire che nelle cosiddette società della vergogna, quelle che farebbero di ogni cosa una questione d'onore, ho conosciuto persone con un senso di colpa quasi protestante. Questa distinzione è figlia di uno strabismo originario che divide il mondo tra popoli superiori e popoli colonizzati".

Come dire tra moderni e premoderni, avanzati e arretrati.
"Per me, invece, colpa e vergogna convivono nelle stesse persone. Non sono marcatori etnici".

Quindi il familismo amorale, che è diventato uno stereotipo negativo del carattere italiano, non è altro che l'invenzione di una mediterraneità in salsa anglosassone?
"Intanto il familismo è di per sé un sistema etico. Perché la voglia di difendere la propria famiglia dall'ostilità e dalla concorrenza degli altri è più che legittima. Il troppo fortunato libro di Banfield, Basi morali di una società arretrata , aveva un approccio da missionario protestante. E giudicava le società meridionali con i criteri della sua. Insomma guardava il Sud italiano dall'alto in basso. Ma per un antropologo non è corretto considerare aprioristicamente superiore la propria etica"

A proposito di uomini d'onore, qualche settimana fa il vescovo di Reggio Calabria ha vietato l'inchino delle statue dei patroni davanti alle case dei padrini. A Palermo, la processione della Madonna del Carmine si è fermata, secondo alcuni in segno di ossequio, davanti al negozio di un boss. E anche questa volta le autorità ecclesiastiche hanno preso una posizione molto dura...
"È sempre possibile che un delinquente usi i valori, i codici, le ritualità tradizionali per legittimare i suoi atti. Dal mio punto di vista, però, certi fatti sono di ordine criminale solo se la comunità locale li considera tali. Se invece gli abitanti sostengono l'atteggiamento dei criminali, da antropologo, devo accettare il loro punto di vista, per poterli osservare e studiare come un fenomeno sociale. Ad esempio, ho analizzato l'abigeato tra i pastori a Creta. Mentre per l'opinione pubblica e per la polizia, si trattava di un reato, per la gente del luogo era diverso. Di fatto in ogni paese coabitano due idee di legalità. Una comunitaria, l'altra statuale. In tutte le società considerate criminali troviamo un atteggiamento contrario allo Stato. Ma chi ha detto che lo Stato sia la migliore protezione per l'uomo?".

Così però si minano le fondamenta del canone occidentale, dall'idea di democrazia a quella di legalità...
"E, per dirla tutta, non mi piace nemmeno il termine "criminalità". Perché è un'immagine creata dallo Stato burocratico. A me invece interessa indagare la differenza tra chi giudica secondo le norme vigenti e chi giudica secondo quei valori che io chiamo "intimità culturale". Se uno dice: "Io non sono razzista, però" quel "però" svela un aspetto dell'intimità culturale. Il non confessabile dei propri valori. Che esiste dappertutto, non solo in Italia. In ogni paese ci sono delle zone d'ombra della cultura nazionale, che vengono condannate solo a parole".

È innegabile però che in paesi come l'Italia, illegalità e corruzione siano un peso per la collettività.
"Certo nel Sud dell'Europa molti sono evasori, familisti, non pagano le tasse,guidano male, ma io credo che questo esista in tutti i paesi. Anche in Gran Bretagna, dove pure si autorappresentano come una nazione senza corruzione, si moltiplicano gli scandali che coinvolgono cittadini, politici e polizia. La domanda centrale è chi definisce la corruzione? Se usiamo un parametro astratto come l'indice di corruzione, ignoriamo il fatto che quello che chiamiamo corruzione, a livello locale, costituisce la base di una serie di norme sociali. Che ci piaccia o no".

Nessun commento:

Posta un commento