domenica 25 ottobre 2015

MATERIALI SUI CAMBIAMENTI DELLA FAMIGLIA. DIBATTITI E DISCUSSIONI IN CORSO



http://www.avvenire.it/Dossier/Sinodo%20sulla%20famiglia%202014/Pagine/default.aspx
http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/lineamenta-sinodo-famiglia-2015.aspx
Pagine da Avvenire sui materiali discussi nel sinodo dedicato al tema
La vocazione e la missione della famiglia
nella Chiesa e nel mondo contemporaneo

ottobre 2015


F. Remotti a Ravenna
http://ravenna.uaar.it/2009/05/la-famiglia-naturale-francesco-remotti-a-ravenna/

Nel 2008, Remotti ha pubblicato Contro natura: una lettera al Papa (Laterza), un libro capace di demolire convinzioni tanto granitiche quanto discutibili. La famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna a noi sembra un fatto così normale da dover essere naturale. Ed invece, no, è solo un fatto culturale. Uno sguardo meno provinciale ci permetterebbe di conoscere realtà sociali in cui poligamia e omosessualità hanno, o hanno avuto, forme e ruoli a noi sconosciuti (e quindi innaturali). Come scrive Remotti Tutti coloro che sostengono la naturalità della famiglia, quasi inevitabilmente ritengono che esista un unico tipo di famiglia (per lo più quello presente nella propria società). il ricorso alla natura ha il significato di privilegiare un tipo di famiglia a scapito di tutti gli altri: e questo avviene o ignorando l’esistenza di altri tipi, o degradandoli a forme spurie, inautentiche, innaturali.
Gli Inuit dell’Alaska settentrionale, i Nyinba del Nepal, i Lele della Repubblica Democratica del Congo, i Na della Cina meridionale, i Navajo del nord America sono alcune popolazioni che presentano modelli famigliari diversi dal nostro. Per questo, sono contro natura?
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L'espresso, 24 ottobre 2015

R. Saviano

Società pronta politica in ritardo

Le polemiche degli ultimi giorni sul disegno di legge che dovrà regolarizzare le unioni civili (etero e gay), noto come ddl Cirinnà (dal nome della sua relatrice, la senatrice del Pd Monica Cirinnà), sono polemiche inutili, superate e sterili. Breve premessa, il ddl Cirinnà è composto da 19 articoli divisi in due titoli: il primo si occupa dei legami tra due soggetti dello stesso sesso, il secondo disciplina la convivenza di coppie eterosessuali e gay. Inutile dire quanto necessario questo dibattito sia in Parlamento e fuori, dal momento che finalmente regolarizzerebbe la situazione delle centinaia di migliaia di persone che hanno deciso di non voler, o non possono nel nostro paese, contrarre matrimonio religioso né civile. Verso di loro e verso la loro legittima scelta, lo Stato italiano è colpevolmente carente, nonostante i continui richiami della Commissione europea. Le polemiche di cui leggiamo, e che riguardano quasi esclusivamente lastepchild adoption , non avranno alcun seguito, posto che il ddl Cirinnà riesca a diventare legge. E sarà evidente, tra qualche tempo, come le posizioni di chi è contrario oggi, sono solo l’estremo tentativo di rallentare un processo che è ormai inarrestabile. 

La stepchild adoption è la possibilità da parte di uno dei componenti della coppia gay di adottare il figlio biologico dell’altro. Su questo punto, destra, cattolici e strenui difensori della famiglia cosiddetta tradizionale faranno fronte comune, ignorando che non c’è nulla, ma proprio nulla, che possano fare ormai per impedire la nascita di nuove forme di convivenza e di amore, che per semplicità chiameremo famiglia. Che porre a queste forme di amore limitazioni, sarebbe non solo contrario al buon senso ma anche sanzionabile da qualsiasi tribunale che abbia come obiettivo la giustizia e la difesa dei diritti fondamentali dell’individuo.

E mentre la politica nazionale litiga con il pittoresco intervento di qualche rappresentante della chiesa, che assicura di non voler interferire con il lavoro del Parlamento italiano, il comune di Napoli crea un precedente importante. Eh sì, perché ci sono degli atti che potremmo definire semplicemente “di civiltà”. Potremmo definirli tali se gli atti di civiltà fossero all’ordine del giorno, se non suscitassero scalpore, se ad essi facesse seguito non solo una presa di coscienza collettiva, ma prima ancora una presa di coscienza politica nazionale, univoca e trasversale. E invece gli atti di civiltà nel nostro paese diventano veri e propri atti di coraggio.

Lo scorso 30 settembre il sindaco di Napoli Luigi De Magistris ha registrato all’anagrafe l’atto di nascita di un bimbo figlio di due donne italiane, sposate in Spagna. È il primo caso in Italia, è una decisione complessa e giuridicamente importantissima e si pone come pietra miliare. È stata una decisione presa nell’interesse del bambino che, in assenza di registrazione all’anagrafe non avrebbe potuto avere nell’immediato, carta d’identità, passaporto, iscrizione all’Asl e poi avrebbe avuto, crescendo, difficoltà sempre maggiori.

Sono d’accordo con De Magistris quando dice: «Abbiamo scritto una bella pagina di civiltà giuridica». E mentre a livello nazionale si discute in maniera ormai inutile sull’opportunità di consentire le stepchild adoption , a Napoli una coppia gay è di fatto famiglia per il figlio naturale di una delle due donne.

Allora mi domando, che senso hanno tante inutili parole se non quello di rallentare decisioni e creare confusione? Quando si dice che la società è pronta e la politica è in ritardo, si sta dicendo una mezza verità. Spesso la società recepisce e accetta molto meglio ciò che la politica ha regolamentato. Quindi continuare a impedire che esistano coppie di fatto con gli stessi diritti delle coppie che abbiano contratto matrimoni religiosi o civili, continuare a impedire alle coppie gay di adottare figli, non fa altro che alimentare diffidenze e divisioni. In questo la politica ha il dovere di guardare oltre, di forzare la mano, di fare più di quanto le venga talvolta chiesto. Molti hanno chiamato questo il “governo dei sindaci” dando alla definizione un’accezione negativa. Io, al contrario, ritengo che essere stato sindaco possa aiutare Renzi a comprendere meglio quali siano le esigenze dei cittadini. Perché le sollecitazioni che arrivano dal basso sono fondamentali per poter governare ad altezze da capogiro.
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C. Mesoniat, Il giornale del popolo, 27 giugno 2014
quotidiano della Svizzera italiana

Famiglia, chi ci crede ancora

Il documento sul quale i vescovi di tutto il mondo si prepareranno al Sinodo sulla famiglia del prossimo ottobre è in sostanza una realistica fotografia dell’istituto e del Sacramento della famiglia così come sono vissuti e capiti dai cattolici di oggi. Non solo i cattolici europei, ma i cattolici di ogni parte del globo. Dai battezzati immersi nella cultura occidentale di radici cristiane e oggi segnata profondamente dal mondo della «rete», del gender, dei «nuovi diritti» (nonché delle leggi civili che li assecondano), ai battezzati latinoamericani immersi nelle loro tradizioni di pietà popolare, ai battezzati africani assediati da animismo e stregoneria, fino ai battezzati di area musulmana, dove poligamia e ripudio della donna infeconda sono leggi di Stato. È un primo aspetto che colpisce in questo testo, di cui non ricordo un precedente; un aspetto che ci ricorda che il Papa di Roma è oggi il primo Papa non europeo nella storia della Chiesa.
Questo documento è il frutto del discusso Questionario che Francesco ha voluto diffondere attraverso tutte le diocesi del mondo. Il risultato, a giudicare dalla sintesi redatta dal cardinal Baldisseri (segretario del Sinodo), non è affatto un «sondaggio» sul gradimento dell’insegnamento cattolico circa la famiglia, come si sarebbe potuto temere. Se mai è una radiografia della comprensione che i cattolici hanno oggi di questo insegnamento. Insomma, si può star tranquilli sul fatto che la barra della dottrina non subisce contraccolpi facili e inconsulti. Ma la Chiesa di Bergoglio resta consapevole di essere oggi un «ospedale da campo» in mezzo a un’umanità ferita e a una cristianità smarrita. E vuole, prima di tutto, comunicare Colui che salva la vita, il suo senso, la sua grandezza e bellezza, anche a riguardo di quel grembo dell’umanità dell’uomo che è la famiglia. Per questo, un altro accento dell’Instrumentum laboris che mi ha colpito -e qui parlo da europeo- è quello posto sulla condizione indispensabile perché un’unione tra l’uomo e la donna diventi famiglia, superando la fase della semplice, provvidenziale e benefica attrattiva amorosa.
«Si ritiene necessario aiutare i giovani ad uscire da una visione romantica dell’amore, percepito solo come un sentimento intenso verso l’altro, e non come una risposta personale ad un’altra persona, nell’ambito di un progetto comune di vita, in cui si dischiude un grande mistero e una grande promessa», si legge al paragrafo 85. Qual è questo «grande mistero»? Qual è il nocciolo del «Vangelo della famiglia» di cui il documento parla insistentemente? Con parole mie la metterei così: nel matrimonio cristiano (peraltro forma del matrimonio stesso nella nostra cultura), chiamato alla definitività e alla fecondità, se marito e moglie si aspettano dall’altro (o dai figli) ciò che compirà la promessa cui li ha splancati il loro amore, non potranno che restarne delusi. C’è solo Uno che può soddisfare questa sete di compimento di sé nell’amore. Nel rapporto personale con Cristo di uno e dell’altra è racchiusa la vera risorsa per la riuscita del matrimonio stesso. Prima della ricerca di vie d’uscita ai diversi vicoli ciechi in cui tante unioni sono oggi spiaggiate a causa della imperante crisi della famiglia, servirebbe vedere incarnato l’ideale della famiglia. Ideale -si legge nel paragrafo su «La crisi della fede e la vita familiare»- che purtroppo «viene inteso come una meta irraggiungibile e frustrante, invece di essere compreso come indicazione di un cammino possibile, attraverso il quale imparare a vivere la propria vocazione e missione».
Il documento preparatorio del Sinodo non tace nessun problema connesso alla crisi della famiglia, dagli impedimenti sociali alle unioni di fatto, a quelle omosessuali, fino alla dolorosa impasse delle persone divorziate e risposate di fronte ai Sacramenti. Non sono però i «problemi» al centro di questa relazione sullo stato della famiglia nel mondo. Su tutte queste situazioni una certezza è costantemente richiamata: l’appartenenza alla Chiesa, la possibilità di abbracciare e vivere la liberazione della fede non è mai messa in discussione. In nessun caso e per nessuno.

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N. PAGNONCELLI, 

Unioni gay: tre italiani su quattro d’accordo, il 35% dice sì alle nozze, Corriere della sera, 20 ottobre 2015

I l Sinodo straordinario sulla famiglia convocato da papa Francesco ha mostrato un volto della Chiesa a cui non eravamo abituati. Una Chiesa pronta ad affrontare e discutere temi scomodi, come l’ammissione dei divorziati al sacramento dell’eucarestia o l’omosessualità. A conclusione del Sinodo, aldilà di alcuni aspetti che rimangono controversi, sembrano lontani i tempi della Chiesa «del no», dei valori «non negoziabili». Queste aperture appaiono in forte sintonia con le opinioni prevalenti nel nostro Paese, una sintonia testimoniata dall’impennata di fiducia nella Chiesa dopo l’elezione di Francesco (passata dal 54% del febbraio 2013 al 76% dei mesi scorsi) e dai risultati del sondaggio odierno. Vediamoli in dettaglio.
La definizione di famiglia nella quale ci si riconosce maggiormente (53%) è quella di una «qualunque coppia legata da affetto che voglia vivere insieme»; un italiano su quattro (28%) considera la famiglia solo se è composta da un uomo e una donna sposati e 18% se è composta da un uomo e una donna anche se non sposati. Tra i fedeli assidui, cioè tra coloro che partecipano alla messa domenicale regolarmente, quasi uno su due (46%) ritiene che la famiglia sia composta da uomo e donna sposati ma una importante minoranza (uno su tre) si riconosce nella prima definizione. Su questo tema, com’era lecito attendersi, le opinioni variano in relazione all’età: tra le persone di oltre 60 anni e i pensionati infatti prevale una concezione più tradizionale della famiglia.
Riguardo alla possibilità di dare la comunione ai divorziati si registra un larghissimo consenso: nel complesso 84% si dichiara molto (55%) o abbastanza (29%) d’accordo. In questo caso il favore è nettamente prevalente anche tra i fedeli assidui (83%).

l Sinodo sulla famiglia nell’ultima settimana ha suscitato un confronto politico e mediatico più ampio sui diritti delle coppie di fatto rispetto a cui l’Italia appare in una situazione diversa rispetto a molti altri Paesi. A tale proposito prevale l’idea che su questa spinosa materia la legislazione italiana sia arretrata. La pensa così il 56% degli intervistati, mentre il 21% ritiene che la nostra legislazione abbia il giusto approccio al problema non essendo né troppo avanzata né troppo arretrata e il 14% considera la nostra legislazione fin troppo permissiva.
Tra i fedeli assidui, sebbene prevalga l’idea che la nostra legislazione sia arretrata (36%), le opinioni sono decisamente più diversificate mentre tra i fedeli che partecipano saltuariamente alla messa i pareri sono sostanzialmente in linea con la totalità della popolazione.
Da ultimo la questione più spinosa, rappresentata dai diritti delle coppie omosessuali. Tre intervistati su quattro sono favorevoli al riconoscimento dei loro diritti: il 35% si dichiara favorevole al matrimonio e il 39%, pur essendo contrario al matrimonio, è favorevole alle unioni civili. Viceversa, il 23% è contrario sia all’uno che alle altre. L’apertura ai diritti delle coppie gay prevale indistintamente tra tutti i segmenti sociali, sia pure con accentuazioni diverse. Infatti i giovani fino a 30 anni, gli studenti, gli impiegati e gli operai, i residenti nelle regioni del centro nord e gli elettori del Movimento 5 Stelle si esprimono nettamente a favore del matrimonio.
Sul fronte opposto si osserva maggiore contrarietà tra le persone meno giovani, meno istruite, tra i pensionati, i residenti nelle regioni meridionali tutti con valori compresi tra 33% e 37%. Gli atteggiamenti di maggiore chiusura si registrano tra gli elettori di Forza Italia (42%), nonostante il dialogo avviato su questo tema da parte di Silvio Berlusconi che nei giorni scorsi ha ospitato a cena ad Arcore Vladimir Luxuria, uno dei simboli della lotta per i diritti degli omosessuali, e soprattutto dalla sua giovane compagna Francesca Pascale che nei mesi scorsi si è iscritta all’Arcigay e ha fatto scalpore chiedendo scusa per tutti coloro che dal centrodestra hanno insultato e maltrattato i gay.
Nel mondo cattolico gli atteggiamenti sono abbastanza variegati: tra i fedeli più assidui la maggioranza assoluta (56%) è a favore del matrimonio (24%) o delle unioni civili (32%), tuttavia con valori meno elevati rispetto ai fedeli saltuari (75% a favore dei diritti) e ai non praticanti e ai non credenti (85% a favore).
Il Paese sta cambiando, sia pure in modo graduale e non univoco. E trova conforto nel fatto che un’istituzione come la Chiesa, tradizionalmente poco incline al cambiamento, stia affrontando di petto alcune questioni delicate, fino a poco tempo fa considerate dei veri e propri tabù. Tutto ciò rappresenta una sfida per le nostre istituzioni e il nostro legislatore che, quanto ad innovazione, oggi sembrano scavalcati dalla chiesa di papa Francesco.



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