PARIGI Laurence Rossignol, ministra delle Famiglie e dei Diritti delle donne, qualche giorno fa ha suscitato molte reazioni in Francia per le sue dichiarazioni sul velo islamico, considerato come una forma di imposizione: «Ci sono donne che lo scelgono come c’erano negri americani favorevoli allo schiavismo». Dopo le polemiche la ministra ha parlato di un «errore di formulazione», confermando però il fondo del suo pensiero. Come conciliare diritti delle donne e libertà religiosa? Laurence Rossignol torna sul tema con questa intervista al Corriere della Sera.
La Francia ha proibito il velo, e ogni altro segno religioso visibile, nelle scuole. Solo per difendere la laicità, o il velo islamico è in sé un problema?
«Il principio di laicità in Francia risale al 1905. Organizza la separazione tra Stato e Chiesa. I codici di abbigliamento islamici non erano davvero la priorità del legislatore del 1905. Dal 2004 i segni religiosi sono proibiti nelle scuole per tenerle al riparo da scontri inter-religiosi. Nei luoghi pubblici, solo gli abiti che nascondono il volto (come il burqa, ndr) sono proibiti. A parte questo, ognuno può vestirsi come vuole».
Al di là dell’uso di alcune parole, che lei ha già precisato, pensa che, per una donna, l’idea di portare il velo non sia mai davvero volontaria?
«Siamo libere? Alcune di nascondere il corpo, le mani, il viso; altre di infliggersi operazioni di chirurgia estetica dolorose, di affamarsi per assomigliare a modelle da rivista che non esistono nella realtà. Il libero arbitrio degli individui in una società, un gruppo, una famiglia — che produce codici, rappresentazioni e che in base al rispetto di questi codici esclude o accetta gli individui — è molto relativo».
Il velo islamico è dunque o un’imposizione del marito o del fratello, o un segno di militanza per l’Islam politico?
«Siamo chiari, noi parliamo di abbigliamento islamico, non semplicemente di un foulard che copre la testa. Ho già evocato la pressione, spesso implicita, del gruppo. E allo stesso tempo esiste un Islam politico che sostiene un progetto di società i cui valori non sono i miei e che conta tra i suoi ranghi anche militanti».
Nel romanzo «Sottomissione» Michel Houellebecq descrive un atteggiamento europeo di resa, talvolta voluta e calcolatrice, nei confronti dell’ideologia islamista. Lei pensa che la nostra società corra questo rischio?
«Non condivido l’idea sviluppata dall’estrema destra francese secondo la quale le nostre civiltà sarebbero minacciate dall’islamismo. È un’assurdità che sfrutta la paura dell’altro. La Repubblica comporta doveri ma anche diritti: i musulmani di Francia devono beneficiare totalmente dei valori di uguaglianza tra donna e uomo. Sono loro a essere minacciati dall’azione di estremisti che vogliono isolarli dal resto della società».
Che cosa risponde alle accuse di islamofobia?
«Sono senza fondamento. Quando degli individui mettono delle teste di maiale davanti a una moschea è un atto abietto, quando una donna viene aggredita perché musulmana, è un atto razzista e sessista. La Francia garantisce la libertà religiosa e garantisce anche la libertà di opinione. Questo mi autorizza a dire che le “collezioni di moda pudica” che nascondono la pelle e le forme delle donne contribuiscono al controllo dei corpi delle donne, e della loro sessualità. Soggetto centrale in molte società nel corso dei secoli».
Molte femministe hanno preso posizione in suo favore sottolineando il suo coraggio. È difficile esprimersi su questi argomenti oggi in Francia e in Europa?
«Il mio impegno è di garantire alle donne le condizioni della loro emancipazione e di vigilare sulle minacce di regressione. Quando il mercato, perché ci sono in mezzo dei soldi, promuove dei vestiti che i marchi designano come “pudichi”, è mio dovere lanciare l’allarme. Non fosse altro che a nome di tutte le donne che vogliono continuare a vestirsi come vogliono, senza essere tacciate di “impudicizia”».
Qual è stata la sua reazione ai fatti di Colonia? La filosofa Élisabeth Badinter ha detto che per difendere gli stranieri dalla xenofobia le autorità tedesche hanno rinunciato a tutelare le donne. Condivide la sua opinione?
«Il razzismo è presente, c’è chi lo usa in politica. E noi conosciamo quelli che sfruttano tutte le occasioni per esprimere la loro xenofobia. Ma queste persone non si interessano ai diritti delle donne che quando possono usarli come pretesto per denunciare gli immigrati e i rifugiati. Le femministe, senza lasciarsi intimidire o colpevolizzare, devono rivendicare alta e forte la denuncia delle violenze sessuali contro le donne, perché nessuno lo farà al posto loro».
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