sabato 18 giugno 2016

ARTE CONTEMPORANEA. P. ECHAURREN, Se a Zurigo 80 tonnellate di feci umane diventano una nuova espressione di arte contemporanea, THE HUFF. POST, 13 giugno 2016

Ormai sono diventato un esperto del settore, un esperto di espressioni artistiche al limite, al limite della psicopatologia, e sull'arte "escrementizia" mi considero un vero esegeta, un cantore. Tralasciando i capostipiti come Marcel Duchamp col suo orinatoio (1917) e Piero Manzoni con i suoi celebrati barattoli (1961), non si possono ignorare i cavalli viventi e scagazzanti di Jannis Kounellis (1969). Ma poi l'elenco si infittisce: le feci e altri liquidi organici di spurgo entrano prepotentemente a far parte della strumentazione artistica tanto come elemento costituente quanto come oggetto d'ispirazione. Basti citare la seggetta soffice di Claes Oldenburg, i lavori di David Hammons, lo "stronzo" lungo oltre un metro di Paul McCarthy, le madonne con sterco elefantino di Chris Ofili, e poi ancora i clisteri di Keith Boadwee, le opere di Kaka Maker, le Shithead e gli Shitpainting di Mark Quinn, il tubo digerente di Win Delvoye, non ultimo il water in oro del solito Pierino della Francesca (Cattelan). Ma ci sarebbe molto altro ancora, mi fermo per carità cristiana.



Invece non si fermano i curatori di mostre internazionali sempre a caccia dello scandalo da sventolare come un martirio mediatico. È la volta della grande "kermesse in piega" Manifesta 11 affidata quest'anno a Christian Jankowski che ha creduto bene di invitare Mike Bouchet a presentare la sua opera The Zurich Load, risultato del trattamento di 80 mila chilogrammi di feci umane, ovvero quelle prodotte quotidianamente dagli abitanti della città elvetica. Installazione imponente in una sala sigillata, all'uscita della quale vengono offerti deodoranti ai visitatori esultanti.
Ultima follia? Nient'affatto, ultimo tassello di una filiera che da sempre ha cercato la provocazione (più o meno intelligentemente) nell'esposizione del materiale più naturale e primordiale che l'uomo abbia prodotto senza però crearlo. Dev'essere questa incontenibile spontaneità che affascina l'arte d'avanguardia. Nel lontano 2002 pubblicai un libercolo Delitto d'artista (Edizioni Shake, Milano, riedito da Gallucci nel 2013) in cui analizzavo un passaggio basilare dell'arte contemporanea: il passaggio dalla "merda d'artista all'artista di merda."
Vi si narrano le vicende e le poetiche di un gruppo di artisti appartenenti al neonato Movimento della Peristalsi. A causa dell'omicidio del suo mentore l'intero gruppo viene passato al setaccio da una energica lesbo commissaria, Vanessa Tullera, convinta che, sotto sotto, ogni artista sia un velleitario e un potenziale criminale. La povera Tullera si trova a dover vagliare la posizione di una serie di artisti affermati quali Andrea Pirlotto detto Lotto che tramite una piritiera si compiaceva di inglobare in preziose ampolle di Murano i suoi "fiati intestinali"; il D'Ambrosio e la sua macchina per produrre merda dal minestroni e polpette al sugo; il Felluga che si nettava il deretano con le bandiere di tutti gli Stati del mondo per creare i suoi osannati Vilipendi d'artista, Arno Von Klister di cui si intuiscono già dal nome le doti innate... e infine tal Felice Mazzacorati che costruiva delle grandi forme modulari servendosi di mattoncini realizzati con feci umane essiccate (il Mazzacorati sosteneva di avere aggiunto un elemento "gestalico peristaltico" alla poetica del gruppo). Ecco fatto l'opera di Mike Bouchet, ora sulla bocca di tutti, l'aveva già fatta il mio Felice Mazzacorati.
Ma è così che va la vita, quando si inseguono i paradossi, le boutade, gli scandali e i giochi di parole si finisce per ripetersi e per non sapere più di chi sia realmente la paternità delle cose. Ma i critici, i curatori, i dispensatori di saperi, non sarebbero tenuti a un minimo di credibilità? No, fanno di tutto per cadere nel reticolo del ridicolo. Purché se ne parli. E noi ne parliamo secondo i dettami della società dello spettacolo... con camicia finale.

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