mercoledì 1 giugno 2016

COLONIALISMO DIGITALE. EBOOK E LIBRI TRADIZIONALI. I. MOSCARDI, Attenzione, l’ebook ci rende superficiali, LA STAMPA, 18 maggio 2015

Leggere in digitale è qualcosa di ben più complicato di un semplice cambio di supporto. Lo sostiene Naomi Baron nel suo saggio Word Onscreen. The Fate of Reading in a Digital World (Oxford University Press). L’autrice, executive director del Center for Teaching, Research and Learning dell’American University di Washington, ha studiato il digitale come motore di un cambiamento che investe tutte le attività connesse con la lettura.  



Con l’ebook i libri sono paragonati a qualsiasi prodotto digitale di cui la vita, soprattutto dei «nuovi lettori» più giovani, è satura: sono loro, per ragioni anagrafiche cresciuti con i supporti digitali, al centro dello studio. Ed è partendo da alcuni dati, raccolti dal 2010 tra alcuni studenti universitari suoi e di colleghi in Germania e Giappone, che l’autrice parte per descrivere la rivoluzione del digitale.  
Durante lo studio, gli intervistati hanno dichiarato di preferire la carta al digitale: gli ebook costano meno (anche se un’instabile politica del prezzo può renderli meno convenienti del previsto) e sono immagazzinabili a centinaia in un solo strumento connesso a Internet, ma quando abbiamo il tempo di leggerli tutti? Inoltre – sebbene consentano sottolineature e commenti – non permettono di scrivere a mano nei margini e nemmeno di essere consultati contemporaneamente, due processi fondamentali per chi studia. Senza contare che la mancanza di fisicità riduce la memoria di ciò che leggiamo e elimina il concetto di possesso perché ci vengono concessi solo in licenza. 

La realtà studiata dall’autrice è quella degli Stati Uniti, dove gli ebook hanno raggiunto il 20% dei libri letti. Negli Usa il digitale sta avendo importanti ripercussioni a livello scolastico: molte scuole e college, vista l’impennata dei prezzi per i libri di testo e la riduzione del loro budget, sono passati al meno caro ebook. Ma, a livello generale, la diffusione degli strumenti digitali trasforma le abitudini di lettura degli studenti, che si modellano sempre più su quelle che tali supporti diffondono: testi brevi, da scorrere per cercare informazioni specifiche o per approfondimenti e non troppo complessi, adatti a una lettura usa e getta. Baron lamenta, da docente, come questi formati disabituino gli studenti all’attenzione necessaria per testi lunghi (obbligando docenti e editoria a puntare su testi sempre più brevi per non perdere una rilevante fetta di mercato). Agli studenti viene offerto un universo frammentato di micro-testi, tutti sullo stesso dispositivo: se al libro di scuola si può accedere con lo stesso strumento utilizzato per Facebook, lo studente paragonerà il libro ai social network e a tutte le altre app, dalle quali si farà distrarre in continuazione durante la lettura.  

Concludendo, questo saggio non è un grido d’allarme apocalittico: Baron analizza con occhio scientifico il fenomeno e, riconosciuta la supremazia tecnica del medium digitale, giunge ad alcune conclusioni utili per il futuro. Sfruttare l’ibridazione carta-digitale (libri con contenuti aumentati, copie digitali gratuite per chi acquista il cartaceo) per promuovere la lettura, compensare testi lunghi e brevi e non presupporre che gli studenti sappiano leggere onscreen (sta ai docenti insegnarglielo) né di conoscere le preferenze di lettura degli altri solo perché usano dispositivi digitali. I lettori saranno sempre consapevoli che digitale e carta possono essere impiegati per scopi diversi. Il digitale può tuttavia definire una nuova idea di lettura, in cui giudicheremo irrilevanti lunghezza e complessità dal momento che le nuove tecnologie non incoraggiano questi approcci alla lettura. Se non è questa la lettura che vogliamo, sta a noi raccogliere la sfida. 

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