giovedì 31 agosto 2017

SOCIETA' IN EUROPA. GERMANIA E IL DIRITTO AL SUICIDIO. C. TROILO, Riconosciuto in Germania il diritto al suicidio. Altre novità dal mondo, L'ESPRESSO, 2 giugno 2017

Germania, diritto al suicidio
La news letter Bundeszentralstelle Patientenverfügung riferisce sul caso di Bettina K, una cinquantenne   che nel 2002, a seguito di un incidente di macchina, era rimasta paralizzata dal collo in giù ed aveva dolori  insopportabili. Dopo che i medici le avevano pronosticato la possibilità di vivere ancora 15 anni, Bettina aveva deciso di morire ed aveva chiesto alla competente Autorità per i farmaci di avere una dose di Natrium-Pentobarbital, un farmaco mortale.


Poiché l’Autorità aveva negato il farmaco, nel febbraio del 2005 Bettina, accompagnata dal marito Ulrich, era andata a morire in una clinica della Dignitas in Svizzera.
Tornato in Germania, Ulrich  iniziò una battaglia per  ottenere che la magistratura ammettesse, post mortem, il diritto di Bettina ad ottenere il farmaco.
Respinto dai tribunali ordinari,  Ulrich ricorse al tribunale amministrativo federale di Lipsia, che nel marzo scorso ha dato ragione torto alla Autorità,  affermando che essa, “in casi estremi ed eccezionali, non può rifiutare di vendere il farmaco letale ai malati che hanno deciso il suicidio”. Il tribunale di Lipsia ha fatto riferimento, nel motivare la decisione, ad una sentenza del tribunale europeo dei diritti dell’uomo, secondo cui “l’impegno dello Stato a proteggere la vita non può valer sempre e comunque e senza eccezioni”. Un divieto così assoluto “colpisce il diritto delle persone malate e inguaribili ad autodeterminare come e in quale momento porre fine alla propria vita”.
La vicenda di Bettina ha avuto ampio risalto sulla stampa tedesca, secondo cui la sentenza di Lipsia ridarà vigore ai sostenitori del suicidio assistito e della eutanasia.
Canada: colti e benestanti i richiedenti l’eutanasia
Sul “New England Journal of Medicine” lo  studio di un gruppo di ricercatori della Università di Toronto: fra le cause che portano a chiedere il suicidio assistito prevalgono il timore di perdere l’autonomia e la dignità, più che i dolori fisici non sufficientemente controllati. Altro motivo: non voler pesare sui familiari.  I richiedenti sono per lo più bianchi e persone benestanti.
Il capo dei ricercatori di Toronto, intervistato dal “Washington Post” – che ha dato risalto alla ricerca -  afferma che le persone di successo che hanno avuto pieno controllo della loro vita vogliono averlo anche della loro morte.
Agli studiosi di Toronto replica sul Journal of Australian Bioetics il bioeticista americano Ezekiel Emanuel: il solo fatto che l’aiuto al suicidio possa essere  richiesto semplicemente per ragioni di malessere esistenziale dovrebbe spingere a non legalizzare l’eutanasia.
Le leggi pro eutanasia sono state bocciate in uno stato degli USA, il Maine (85 voti contro, 61 pro), e in uno dell’Australia, la Tasmania (16 voti contro 8). Nel  Maine i contrari alle eutanasia sono soprattutto parlamentari democratici.

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