venerdì 20 aprile 2018

ISTITUZIONI SOTTO ATTACCO. SCUOLA ED EPISODI DI DEVIANZA. LUCCA. A. BUTTITTA, La scuola in ginocchio e un silenzio difficile da accettare, L'ESPRESSO, 19 aprile 2018

È diventato un puro esercizio di retorica commentare e giudicare quanto accaduto al professore di Lucca bullizzato da un alunno che, con minacce e insulti, reclama un sei sul registro. Appare ridondante parlare di come la scuola abbia perso la sua centralità, di come il ruolo sociale ed educativo dei docenti sia venuto meno, di come le famiglie non sappiano più gestire le intemperanze dei loro figli, di come padri e madri siano diventati sindacalisti persino dei ragazzi più arroganti. Sono considerazioni che ciclicamente tornano ad alimentare il dibattito pubblico sul destino dell’istruzione in una società che sembra non avere più punti di riferimento.



In molti, osservando il comportamento del professore in questione, hanno puntato il dito contro il suo silenzio sconsolato di fronte a un simile atteggiamento. All’insegnante si chiedeva un sussulto d’orgoglio, una presa di posizione più decisa, un rimprovero che mettesse in chiaro i ruoli. Purtroppo ciò non è avvenuto. Anzi, ascoltato dalla Gazzetta di Lucca, il professore ha minimizzato l’episodio, lamentandosi del clamore che si è creato intorno al caso. “Sapevo che tipo fosse il ragazzo”, ha detto. “È stata una mia mancanza non prendere provvedimenti”.
Provvedimenti è una parola chiave per capire la scuola italiana di oggi. Dirigenti scolastici e professori, alla prova dei fatti, non hanno gli strumenti per contrastare l'emergenza educativa di cui tanto si parla. Perché, esclusa la bocciatura che nella maggior parte dei casi non serve a nulla, le altre punizioni - sospensione in primis - non sortiscono effetti. Gli insegnanti, stremati e sfiancati, rassegnati nel peggiore dei casi, ne prendono atto sperando che il giorno di scuola finisca il prima possibile, che l'alunno più agitato sia assente, che l'indifferenza prevalga. Questo accade perché diversi studenti sono convinti che la scuola, intesa come istituzione, non ha alcun senso d'esistere. Svuotata di ogni utilità alla luce della progressiva svalutazione dei titoli di studio, essa è vista come un'imposizione.
Qualche settimana fa un alunno pluripetente, ancora in prima media a quindici anni, all'ennesimo rimprovero ricevuto, mi ha detto che per lui la scuola è una prigione e che gli insegnanti sono come le guardie carcerarie. Un'affermazione del genere la dice lunga su come la scuola sia percepita, su come venga vista. La scuola dell'obbligo, da strumento di inclusione sociale, da principio democratico, è diventata una costrizione per i ragazzi più esagitati.
Questo è accaduto perché la scuola non è più considerata come un luogo di formazione e di crescita. Priva di prospettive e di aderenza con il mondo del lavoro, si è trasformata in un edificio dentro cui sostare a causa di un'imposizione che viene dall'alto. Non essendoci più un futuro da costruire con opportunità all'orizzonte, la scuola è stata svuotata di qualsiasi valore. Gli studenti si sentono in diritto di fare ciò che vogliono, fregandosene tanto della didattica quanto della disciplina, consapevoli che gli anni dell'istruzione siano inutili nelle loro vite.
La scuola dell'obbligo, delegittimata anno dopo anno, sta perdendo progressivamente tutte le sue battaglie. I più alti principi e i più nobili pensieri hanno dovuto cedere il passo a una realtà troppo brutta da accettare e da affrontare. E alcuni insegnanti, debilitati dalle troppe batoste, non hanno più voglia di combattere una guerra che sanno di non poter vincere. Alle parole preferiscono il silenzio dei vinti.

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