domenica 28 settembre 2014

NEUROSCIENZE. PACIONI M., La ricerca dell'essenza umana nei legami delle reti neurali, IL MANIFESTO, 25 settembre 2014

 La sco­perta del Dna da parte di Fran­cis Crick e James D. Watson è avve­nuta in un momento in cui le bio­tec­no­lo­gie comin­cia­vano a diven­tare timi­da­mente una nuova fonte di inve­sti­mento pri­vato e pub­blico.



Ben­ché non sia stata l’unica, anni dopo, la più impor­tante ricerca che si è svi­lup­pata dalla gene­tica del Dna, anche in ter­mini di finan­zia­menti e atten­zione da parte dell’opinione pub­blica, è stata quella del «Genoma Umano». Defi­nito come la map­pa­tura degli ele­menti base della vita, tale pro­getto ha nutrito molte aspet­ta­tive. Ad esem­pio quella di indi­vi­duare i geni respon­sa­bili di molte malat­tie per le quali si sareb­bero tro­vate cure agendo mira­ta­mente su di essi. Quella di uti­liz­zare l’ereditarietà come fat­tore per otti­miz­zare la pre­ven­zione. E per­sino quella di aumen­tare l’accuratezza nel pre­de­ter­mi­nare il com­por­ta­mento umano – l’ethos in senso gene­rale come la stessa parola «gen-etica» mostra.

UN FER­TILE CAMPO D’INTERVENTO

La gene­tica geno­mica è diven­tata così per­va­siva da recla­mare tito­la­rità nel defi­nire l’essenza umana. (Nata sull’onda delle geno­mica, la rispo­sta pre­oc­cu­pata che la bio­e­tica ha offerto, quando non si è chiusa nei limiti della con­fes­sione reli­giosa, si è spesso risolta in mera deon­to­lo­gia della ricerca). L’idea sulla cen­tra­lità dei geni nella spie­ga­zione della vita indi­vi­duale ha tut­ta­via subìto una pic­cola bat­tuta d’arresto quando, con il pro­gre­dire del Pro­getto Genoma, si è visto che in molti casi la pro­spet­tiva di con­si­de­rare un gene respon­sa­bile del carat­tere o di una malat­tia era più com­plessa e che fat­tori con­te­stuali o col­la­te­rali agli stessi geni pos­sono inci­dere in modo altret­tanto deter­mi­nante. La mag­giore atten­zione alla mul­ti­fat­to­ria­lità ha com­por­tato che la geno­mica pura si ricon­si­de­rasse nella dimen­sione più ampia della bio­lo­gia mole­co­lare. Ciò tut­ta­via non ha signi­fi­ca­ti­va­mente intac­cato, anzi ha ulte­rior­mente con­tri­buito ad espan­dere l’appetibilità delle bio­tec­no­lo­gie e la fidu­cia nella capa­cità tutta interna di mani­po­lare cel­lule e geni senza dare impor­tanza ai fat­tori ambien­tali esterni con i quali la vita agi­sce e dai quali è influen­zata.
Gra­zie alla messa a punto di nuove mac­chine e tec­ni­che per la visua­liz­za­zione le bio­tec­no­lo­gie e con esse la geno­mica e la bio­lo­gia mole­co­lare hanno tro­vato un ulte­riore e fer­tile campo d’intervento, non­ché fonte di finan­zia­mento, nel cer­vello. Ana­lo­ga­mente a quanto è acca­duto nella gene­tica, anche nella neu­ro­bio­lo­gia l’individuazione di spe­ci­fi­che parti del cer­vello con pre­ci­pue fun­zioni legate alla fisio­lo­gia, al com­por­ta­mento umani e lo stu­dio dei neu­roni si sono poi svi­lup­pati nel senso di una mag­giore con­si­de­ra­zione dei modi e della strut­tura attra­verso i quali le sin­gole com­po­nenti inte­ra­gi­scono. Simil­mente al Pro­getto Genoma si è così dato vita al Pro­getto Con­net­toma «da 30 milioni di dol­lari varato nel 2010 dal Natio­nal Insti­tute of Health sta­tu­ni­tense». È nata una nuova branca delle neu­ro­scienze: la con­net­to­mica.
Per capire le stra­te­gie di ricerca, gli obiet­tivi, e soprat­tutto le impli­ca­zioni antro­po­lo­gi­che di que­sta nuova fron­tiera neu­ro­scien­ti­fica, costi­tui­sce un impor­tante stru­mento il libro di Seba­stian Seung, Con­net­toma. La nuova geo­gra­fia della mente(tra­du­zione di Sil­vio Fer­ra­resi, Codice Edi­zioni, pp. 385, euro 15,90). Seung spiega che «il con­net­toma è la tota­lità delle con­nes­sioni tra i neu­roni di un sistema ner­voso. Que­sto ter­mine, come il suo omo­logo genoma, implica com­ple­tezza; il con­net­toma non è una sola con­nes­sione, e nem­meno molte connessioni:è tutte le con­nes­sioni». Per l’autore «gli aspetti più pecu­liari della nostra iden­tità, sono codi­fi­cati nel nostro con­net­toma».
Una delle impor­tanti impli­ca­zioni della con­net­to­mica, a dif­fe­renza della neu­ro­ge­ne­tica più tra­di­zio­nale, è che la prima con­si­dera il cer­vello come un organo pla­stico, che cioè muta in ter­mini quan­ti­ta­tivi e qua­li­ta­tivi nel corso della vita. Attra­verso le cosid­dette «quat­tro R» quali ripe­sa­tura, ricon­nes­sione, rica­blag­gio e rige­ne­ra­zione di neu­roni e sinapsi, il con­net­toma forma e riforma le nostre iden­tità umane garan­tendo loro la sta­bi­lità suf­fi­ciente affin­ché esse si pos­sano defi­nire tali. Per Seung, quella con­net­to­mica è una pro­spet­tiva diversa rispetto a quella pre­de­sti­nale tipica della geno­mica secondo la quale tutto è già nei nostri geni e ciò che siamo è deciso sin dal con­ce­pi­mento. Con­net­toma è dun­que una map­pa­tura dina­mica di quella che si ritiene essere l’essenza umana. Una map­pa­tura che ci dif­fe­ren­zia come indi­vi­dui anche nel caso dei gemelli iden­tici per­ché i con­net­tomi si modi­fi­cano nel corso della vita a seconda delle espe­rienze e degli acca­di­menti che per ognuno sono diversi. Tut­ta­via, que­sta ria­per­tura all’influenza esterna, all’ambiente, al rap­porto con gli altri che la con­net­to­mica sem­bra impli­care, è però elusa dal discorso di Seung. Per­ché in realtà quella che dise­gna il con­net­toma non è tanto una mappa – una mappa ha senso se man­tiene aperta l’interazione fra interno ed esterno –, ma un modello che estra­pola ele­menti e li costi­tui­sce come una strut­tura auto­noma che somi­glia ad un dispositivo.

PRO­SPET­TIVE POSTUMANE

Per Seung noi siamo più del nostra genoma per­ché le con­nes­sioni neu­ro­nali, a dif­fe­renza del patri­mo­nio gene­tico, pos­sono modi­fi­carsi pla­sti­ca­mente. Ma la modi­fica è qui intesa fon­da­men­tal­mente in senso bio­chi­mico ed elet­trico. Ciò implica che, come la matassa dei fili di una cabla­tura, il con­net­toma si possa sepa­rare, rilo­ca­liz­zare e ripro­durre. Que­sta ipo­tesi è infatti quella che nei due capi­toli finali l’autore sostiene men­zio­nando il pro­ce­di­mento dell’ibernazione del cer­vello e, soprat­tutto, il pro­cesso dell’uploa­ding del con­net­toma, secondo pro­spet­tive postu­mane che però le neu­ro­scienze non sanno evo­care ancora meglio di un romanzo fan­ta­scien­ti­fico di Phi­lip K. Dick.
Come detto, l’esperienza esterna, l’ambiente ben­ché evo­cati non ven­gono poi vera­mente gio­cati nel discorso di Seung. Per la stessa logica per la quale solo ciò che può essere sepa­rato e ripro­dotto può essere cono­sciuto, per la stessa logica del divide et impera che pre­vale oggi nelle neu­ro­scienze non sor­prende se il cer­vello si possa con­si­de­rare incor­po­ra­bile nel com­pu­ter o se quest’ultimo si possa sosti­tuire com­ple­ta­mente al primo. Alla fine, e pro­prio per l’esclusione dell’esperienza ambien­tale e sociale – dell’umano come essere poli­tico –, la con­net­to­mica mostra di basarsi sull’intercambiabilità fra ciber­ne­tica robo­tica e neu­ro­bio­lo­gia. Capire come fun­ziona un cer­vello umano alla fin fine signi­fica star lavo­rando a ripro­durre un cer­vello arti­fi­ciale, un automa. O meglio, in que­sto caso, star ripro­du­cendo un cer­vello infor­ma­tico visto che per il con­net­toma «l’informazione è la nuova anima» nella quale ridu­zio­ni­smo mec­ca­ni­ci­stico e spi­ri­tua­li­stico si incon­trano nuo­va­mente dimen­ti­cando che l’umano è anche corpo e persona.

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