giovedì 23 luglio 2015

TELEVISIONE E MEZZI DI COMUNICAZIONE. ITALIA. V. VITA, Rai, una riforma mostruosa, IL MANIFESTO, 22 luglio 2015

Han­nah Arendt scri­veva della bana­lità del male e, muta­tis mutan­dis, così si potrebbe chia­mare la situa­zione della (con­tro) riforma della Rai. In que­ste ore sta arri­vando nell’indifferenza – a parte il sit in con­vo­cato tra gli altri da Move On — al giro di boa della prima let­tura, nell’aula del senato.


Pur­troppo, il testo uscito dalla com­mis­sione com­pe­tente, è mostruoso: un irco­cervo tanto auto­ri­ta­rio quanto con­so­cia­tivo. Si è già par­lato ampia­mente del delitto per­fetto ai danni della Rai e della stessa demo­cra­zia dei media, retta quest’ultima su una costru­zione tra­bal­lante, che crol­le­rebbe se pas­sasse l’idea – il vero sot­to­fondo del pro­getto — di un ser­vi­zio pub­blico sci­vo­lato dalla zona lea­der dello svi­luppo cross­me­diale alla clas­si­fica bassa dei broa­d­ca­sting di vec­chia generazione.
Insomma – come ha rile­vato Cor­ra­dino Mineo — si passa a un altro «duo­po­lio», for­mato da Sky e Mediaset.
Tra l’altro, l’inserimento dell’aggettivo «attuale» per spe­ci­fi­care la con­ces­sio­na­ria del ser­vi­zio pub­blico fa pen­sar male. Attuale signi­fica che nel mag­gio del 2016, alla sca­denza del rap­porto con lo stato, vi potreb­bero essere più aziende concessionarie?
Il sospetto diventa forte se si legge la riscrit­tura dell’articolo 4, ovvero la delega al governo per la ride­fi­ni­zione della disci­plina del canone. Came­ron docet? L’inserimento dell’emittenza locale «per la fun­zione di pub­blico inte­resse svolta» apre la strada ad un pos­si­bile pastic­cio, di cui radio e tele­vi­sioni pri­vate rischiano di essere l’inconsapevole cavallo di Troia per l’inconfessato pro­po­sito di fran­tu­mare il medium pubblico.
Invece di buche­rel­lare l’unitarietà del ser­vi­zio, si dia seguito alle pro­messe del governo sulle fre­quenze e sul fondo dell’editoria — pro­sciu­gato — che dovrebbe ricom­pren­dere, secondo l’annunciata riforma dell’editoria, anche l’emittenza locale. Del resto, tale parte pre­ziosa e bistrat­tata del sistema è ben avver­tita rispetto alle lusin­ghe stru­men­tali. E’ dalla legge 422 del 1993 che se ne parla. Invano.
Se si allunga lo sguardo all’articolo 5, ecco che l’altra delega – quella per la modi­fica del Testo Unico del 2005 — limita il peri­me­tro della “nuova” Rai solo a tre punti: tra­smis­sioni per i minori, obbligo di pre­senza sull’intero ter­ri­to­rio nazio­nale, dif­fu­sione delle tra­smis­sioni per le diver­sità lin­gui­sti­che. E la famosa mis­sione di ser­vi­zio pubblico-bene comune nell’era digitale?
Siamo di fronte ad una svolta silen­ziosa, che non solo riporta il qua­dro dei rap­porti di potere – con il netto pri­vi­le­gio dato all’esecutivo che indica l’amministratore dele­gato– a «prima della prima» (la legge 103 del 1975), ma apre la strada alla dimi­nu­zione del peso della sfera pubblica.
Insomma, come la legge 10 del 1985 sancì la con­cen­tra­zione dell’impero ber­lu­sco­niano, ora il ddl 1180 rischia di dare il colpo di gra­zia alla Rai.
Tra l’altro, va con­tro lo spi­rito e la trama del testo che – quando era mini­stro delle comu­ni­ca­zioni — depo­sitò Paolo Gen­ti­loni. E pure con­tro nume­rose altre ipo­tesi pro­ve­nienti sem­pre dall’alveo del Pd, come gli arti­co­lati fir­mati da Vel­troni e da Ber­sani nella pas­sata legi­sla­tura. E sva­riati esperti — ini­zial­mente coin­volti — si sono sfilati.
La Fede­ra­zione nazio­nale della stampa e il sin­da­cato dei gior­na­li­sti della Rai hanno cri­ti­cato aspra­mente il ddl, ricor­dando che nell’agenda delle prio­rità non ci sono né l’auspicata riforma del sistema delle comu­ni­ca­zioni, né la rego­la­zione del con­flitto di inte­ressi. Peg­gio. Il Gasparri all’inizio rot­ta­mato sem­bra ria­bi­li­tato. Un «patto» scel­le­rato? Sicu­ra­mente una débâ­cle.

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