mercoledì 27 dicembre 2017

NEUROSCIENZE. SIMULARE GLI EFFETTI DELLA DEMENZA. R. CORCELLA, Ecco che cosa prova una persona colpita da una forma di demenza, CORRIERE DELLA SERA, 27 dicembre 2017

Mai avuto la tentazione di mettersi nei panni di una persona alle prese con una forma di demenza? La giornalista Tara Bahrampour, come prima di lei altri colleghi, ha voluto farlo provando per i lettori del Washington Post il «Virtual Dementia Tour» (cioè il tour virtuale della demenza). Si tratta di un programma di addestramento messo a punto da P.K. Beville , una geriatra statunitense che nel 1997 ha fondato «Second Wind Dreams», un’organizzazione non profit «dedicata a cambiare la percezione dell’invecchiamento attraverso la realizzazione dei sogni e l’offerta di programmi educativi» come si legge nel suo sito. Tra questi, il fiore all’occhiello è appunto il Virtual Dementia Tour , un progetto con tanto di marchio registrato per aiutare gli operatori sanitari a capire meglio cosa vuol dire avere la demenza. 




Più di 1.000 strutture per anziani in 20 paesi, lo hanno utilizzato. Il pacchetto base del programma per professionisti è in vendita a 1.625 dollari. Ma c’è anche un’edizione per le famiglie e costa 150 dollari. «Non conosco questa esperienza e non so se sia replicabile anche da noi — commenta Gabriella Salvini Porro presidente della Federazione Alzheimer Italia — . Certo l’empatia nei confronti delle persone affette da una delle diverse forme di demenza non è poi così scontata nè per i professionisti, nè per i familiari stessi».





Occhiali, cuffie, guanti e scarpe per mettersi nei panni di chi soffre
Tara Bahrampur ha fatto la sue esperienza a Brightview West End, una struttura per anziani a Rockville, partecipando a una sessione di formazione per i caregivers di pazienti affetti da demenza. Il Virtual Dementia Tour, che ha addestrato persone in migliaia di strutture negli Stati Uniti, mira ad aumentare l’empatia per i pazienti affetti da demenza mostrando loro come ci si sente a camminare nei loro panni - le loro scarpe dolorose e destabilizzanti. In effetti, Tara è stata «bardata» con un paio di occhiali con lenti gialle a specchio antiriflesso, cuffie , un paio di guanti di misura molto grande e un paio di scarpe equipaggiate all’interno con «schegge di plastica». Così è stata introdotta in una stanza da letto buia dove avrebbe dovuto eseguire le istruzioni impartite prima di entrare da Albina Misini, direttrice della sezione per la cura della demenza di Brightview West End. I partecipanti al tour indossano occhiali che imitano la perdita della visione periferica associata alla demenza; imitano anche gli effetti della cataratta, degenerazione maculare e ingiallimento che sono comuni nell’invecchiamento. I guanti rendono più difficile manipolare oggetti, premere pulsanti o sentire qualsiasi cosa, per essere simile assomigliare a il senso ridotto del tatto e la percezione della profondità associata alla demenza. Le persone con demenza spesso non sono in grado di bloccare il rumore di fondo, quindi le cuffie amplificano i suoni ambientali fino a quando non interferiscono con il normale funzionamento. Gli inserti appuntiti nelle scarpe imitano la neuropatia periferica, il torpore e il dolore da danni ai nervi che spesso colpiscono mani e piedi.

Obiettivo del Tour, creare empatia
Come riporta l’articolo del Washington Post «PK Beville iniziò a pensare a come essere d’aiuto meglio ai pazienti più anziani negli anni ‘80 mentre lavorava come valutatore psicologico dei pazienti di una casa di cura. Oltre 2 milioni di persone di 20 paesi hanno partecipato al Virtual Dementia Tour dal 2002, presso strutture di assistenza, organizzazioni sanitarie a domicilio, enti governativi, college e università, ha detto Beville in un’intervista. Circa 3.000 hanno acquistato i componenti in modo che possano offrire i propri tour. Il tour aiuta a finanziare l’organizzazione no-profit di Beville, Wind Dreams, che realizza i desideri dei pazienti delle case di cura. L’organizzazione con sede in Georgia fornisce anche visite, regali e carte per le persone in case di cura che sono sole in vacanza». La geriatra ha studiato l’imaging cerebrale di persone con demenza e ha osservato come le aree colpite si collegano al comportamento reale, per simulare esperienze come parte del progetto. «Dopo otto minuti durante il tour, abbiamo iniziato a vedere alcune delle risposte comportamentali che effettivamente vediamo in un’Unità di cura della memoria », ha detto. Secondo Bahrampur,« il tour crea empatia per il caregiver, e il feedback dei partecipanti aiuta anche a fornire informazioni sul motivo per cui i pazienti con demenza si comportano in determinati modi. “Quando una persona arriva attraverso l’allenamento e chiediamo perché hanno fatto certe cose che sembrano bizzarre, come una persona con demenza, possono rispondere”».

Aggiornamento costante
Il tour viene costantemente aggiornato. La dottoressa Beville sta lavorando per aggiungere un componente legato alla temperatura, perché le persone con demenza hanno difficoltà a interpretare se l’ambiente circostante è caldo o freddo, e un video che imita le spaventose visioni vissute da persone con «demenza a corpi di Lewy». Racconta la giornalista del Wahington Post: «Dopo otto minuti nella stanza degli allenamenti, Misini mi ha tolto le cuffie e il sollievo mi ha inondata. In seguito, guardando i tirocinanti che entrano nella stanza due alla volta, rimasi colpito da quanto le loro azioni e il linguaggio del corpo - e senza dubbio anche il mio - assomigliassero a quello dei pazienti affetti da demenza: l’incertezza, l’espressione stordita, l’improvviso abbaiare di una parola. Sono rimasta scioccata anche da quante istruzioni avevo mancato di eseguire: avrei dovuto indossare un maglione bianco, scrivere un biglietto di tre frasi, sistemare il tavolo per quattro, piegare tutti gli asciugamani, riempire una tazza di acqua e berla».
L’esperimento della Federazione Alzheimer Italia
L’anno sorso , la Federazione Alzheimer Italia - la maggiore organizzazione nazionale non profit che opera per migliorare la qualità di vita dei malati e dei loro familiari - ha provato un esperimento nelle sale cinematografiche italiane per far vivere agli spettatori le sensazioni di smarrimento e confusione con cui i malati di Alzheimer convivono tutti i giorni. Gli spettatori che si sono recati nei cinema italiani aderenti al consorzio UniCi (Unione Cinema) si sono trovati di fronte a un apparente errore: il film che cominciava sullo schermo non era quello per cui avevano pagato il biglietto, bensì il celebre film con Diego Abatantuono Eccezziunale… veramente. Un imprevisto che ha creato sconcerto in sala, come racconta il video realizzato in un cinema di Milano il 21 settembre 2016, che raccoglie le reazioni di alcune delle persone che hanno assistito alla proiezione «sbagliata». Incertezza, spiazzamento, timore di aver sbagliato luogo: per qualche minuto, prima che sullo schermo comparisse una frase che spiegava il senso dell’esperimento, gli spettatori hanno avuto l’occasione di mettersi nei panni di un malato di Alzheimer, sperimentando in prima persona il disorientamento con cui si trova ad avere a che fare nella quotidianità. Pensata per sensibilizzare le persone su cosa significa convivere con la demenza, l’iniziativa ha raggiunto il suo obiettivo, portando gli spettatori a riflettere sulle necessità del malato di Alzheimer: assistenza di tipo non solo medico, aiuto nei momenti di smarrimento, comprensione e vicinanza da parte dei familiari, coinvolti anch’essi in prima persona da una malattia che per sua natura impone un ruolo chiave alla famiglia nell’assistenza quotidiana. L’esperimento ha interessato 70 sale italiane, per un totale di 400 schermi, portando all’attenzione di 150.000 spettatori le difficoltà che incontra tutti i giorni chi è colpito da una malattia che interessa più di 46 milioni di persone nel mondo, di cui 750mila solo in Italia. «Far vivere in prima persona quella sensazione di smarrimento che per i malati di Alzheimer è la quotidianità — dice Gabriella Salvini Porro — rappresenta un’occasione per sensibilizzare sia sulle loro necessità, sia sugli aspetti culturali e sociali legati allo stigma, che colpisce non solo i malati ma anche le famiglie. Rendere sempre più persone consapevoli significa fare un passo avanti per combattere il senso di esclusione di malati e familiari, contribuendo a migliorare la loro qualità di vita».

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