Eugenio Borgna è morto a 94 anni. Per ricordarlo, non a caso ho sfilato dagli scaffali l’oggetto più vecchio. Un contenitore con le lettere cartacee scambiate dall’inizio di una, per me, seconda vita: quella della psicanalisi, iniziata allo Jung Institut di Zurigo. L’iperfascicolo comincia da corrispondenze con giganti che dovrebbero sostenere sulle loro spalle la nostra insostenibile postmodernità: autori mitici ai quali si scriveva su carta e che rispondevano su carta, come se in quei tempi si potesse ancora prendere foglio, penna, busta, francobollo. Il mito rispondeva, leccava il francobollo e spediva.
Come se i tempi fossero quelli di Esiodo, e i soggetti restassero quelli dell’Olimpo: che in fondo non è una montagna così alta, solo una di quelle dove lo stesso professor Borgna spingeva le sue passeggiate. Il cielo e la terra quasi si toccavano, gli dêi scendevano tra noi e, come ha detto Schiller, si presentavano insieme, mai da soli. Quando, giovane analista insicuro, assunsi la presidenza della nostra associazione di professionisti, suddivisa a un dipresso come lo è la Siria, pensai a iniziative che accendessero unanimità, come la nomina di Soci Onorari. Fu scontato che in cima alla lista ci fosse Eugenio Borgna. Da allora, 40 anni fa, sono rimasto con lui in rapporto, non frequente ma costante. Lo si invitava a parlare all’associazione. Veniva e strappava applausi ai giovani e agli anziani, malgrado la sua dizione presentasse qualche problema: da persona sommamente schiva non si era mai adattato davvero al pubblico adorante, la grande, convinta emozione con cui si esprimeva comportava una punta di balbuzie. Mi sono limitato a chiedergli di presentare - lui piemontese - i miei libri al sontuoso Circolo Lettori di Torino. Ringraziando, acconsentiva, accendeva entusiasmi convincendo il pubblico a leggerli con profondità, come faceva lui. Soprattutto, mi faceva arrossire quando lodava la mia “generosità” di autore che dona, a chi legge, cultura e piacevolezza. Non si accorgeva - mi permetto di commentare ora - che queste sue lodi erano ciò che la psicoanalisi chiama “proiezione”: attribuiva a me, e a molti interlocutori, una sterminata generosità che era in lui. A fine evento, si scendeva nel ristorante del seminterrato: dove, mentre gli editori ed io ci satollavamo di brasati e barolo, sorseggiava minerale e masticava verdure. Malgrado in questo modo la sua cena durasse cinque minuti, insisteva per restare a tavola con gli altri. Poi prendevamo un treno verso Milano e lui scendeva a Novara, metà tragitto, con un ondeggiare delicato della mano. Quando pubblicava qualcosa, lo leggevo, lo commentavo ringraziandolo. Per la differenza di età e, in ogni senso, di statura, non riuscivo a farne una corrispondenza simmetrica. Sebbene mettessi sempre il suo nome in cima alla lista di copie-omaggio che l’editore invia, il professor Borgna era fulmineo. Anche quando gli ho spedito degli obici da 500 pagine, mi batteva sul tempo. Si era già procurato il volume, lo aveva già letto e studiato, mi mandava su carta i suoi commenti. Ringraziava per la copia-omaggio e diceva che gli era gradita anche se aveva già il libro: voleva regalarne ad amici.
Questo era Eugenio Borgna, uomo profondamente colto e profondamente cristiano nella sua umiltà. Tutto questo diceva, su fogli di carta scritti a mano con grandi caratteri, lettere lunghe perché i problemi di vista lo obbligavano a distanziare le righe, rendendole alte come la sua persona, fisica e morale. Solo qualche volta ci si sentiva al telefono, e solo negli ultimi anni una parte della corrispondenza si è spostata dalla carta al computer. I suoi libri stanno in felice equilibrio tra l’espressione - non tanto clinica quanto umana - della mente che soffre e il vero flusso poetico.
Il 2024 sarà uno spartiacque nella non banale storia della nostra psichiatria. Si è celebrato il centenario della nascita di Franco Basaglia: nome un tempo innalzato per l’innovazione politica oltre che psichiatrica. L’occasione importante è stata in parte perduta perché, purtroppo, era “di moda” e ora non lo è più. Ho avuto il privilegio di dibattere con Marco Bellocchio il suo epocale documentario "Matti da slegare” (1975), epopea della istituzione basagliana: ma avrebbe meritato una ricorrenza nazionale e un posto d'onore nei programmi Rai. Ora il ’24 resterà legato anche alla scomparsa di Borgna, che era invece un gigante silenzioso. Basaglia “aprì i manicomi”: però anche quello diretto dal suo quasi coetaneo novarese venne “aperto”, in tanti sensi e con poco clamore. Il fatto che Borgna sia passato a un altro mondo rende l’aldilà meno temibile. Chi lo ha conosciuto sa che da lì continua a guardarci, con i suoi occhi miopi che vedono molto lontano.
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