giovedì 2 maggio 2013

PSICOLOGIA DELL'ETA' EVOLUTIVA. GABRIELE BECCARIA, È a cinque mesi che diventiamo davvero umani?, TUTTOSCIENZE, 24 aprile 2013


Siamo testoni, nel senso che alla nascita la testa grande (e sproporzionata) è una caratteristica distintiva della nostra specie insieme con un cervello già ingombrante e due gambe promettenti, che si preparano a farci camminare come irrequieti esseri bipedi. Gli antropologi sostengono che questa natura multipla ci rende esseri bizzarri, soprattutto se ci confrontiamo con i parenti scimmieschi. Nasciamo gracili e indifesi, incapaci perfino di aggrapparci alla mamma, come sanno fare scimpanzé e gorilla appena venuti al mondo, e non è un caso che il nostro baby cervello resti un enigma. Ecco perché sta facendo discutere l’ultimo esperimento condotto dall’Ecole Normale Supérieure di Parigi.


Infilando un inoffensivo ma scenografico caschetto di elettrodi a un gruppo di bambini e osservando che cosa avviene nelle loro piccole-grandi teste, si è scoperto che a cinque mesi hanno sviluppato una prima forma di autocoscienza. Se nasciamo dopo nove mesi di gestazione, la nostra vera vita da umani consapevoli comincia - o comincerebbe, secondo questa scoperta - nel momento in cui riconosciamo una serie di volti altrui e reagiamo in modi diversi alla loro presenza.

E questo, in realtà, è solo l’inizio di una serie di fasi che hanno dello sbalorditivo, come si racconta nel nuovo saggio di Chip Walter, «Last ape standing», appena uscito negli Usa e dedicato all’impresa dei Sapiens, unici sopravvissuti di 27 diversi ominidi, comparsi nel corso di alcuni milioni di anni. Mentre nella pancia della mamma i nostri neuroni si sviluppano fino alla strabiliante velocità di 250 mila nuove cellule al minuto, al momento del parto il cervello pesa meno di un quarto di quello che diventerà in età adulta. Poi, nei primi tre anni accelera di nuovo, triplicando di dimensioni, continua a crescere fino ai sei anni, sperimenta una massiccia riconnessione dei circuiti nell’adolescenza e completa la propria evoluzione entro i 20 anni.

Nessuna altra specie sperimenta una simile metamorfosi post-natale, sfidando i rischi di un lungo processo di crescita. Nell’interminabile infanzia e adolescenza che ci contraddistingue - sottolinea Walter - c’è con ogni probabilità un fattore decisivo della nostra forza: nemmeno i più diretti «competitors» - i Neanderthal - si sono potuti permettere di allevare bambini così sofisticati e al tempo stesso tanto implumi.

E dal momento che un bambino non comincia a parlare se non intorno a un anno, il team parigino ha cercato di sondare un aspetto-chiave della costruzione cerebrale analizzando i segnali elettrici legati ai meccanismi di riconoscimento visivo. Utilizzando l’elettroencefalografia, si sono registrati i flash di una serie di segnali nel sistema nervoso che sembrano identificare proprio l’inizio della «coscienza visiva», vale a dire la capacità di vedere e ricordare ciò che si è visto. Protagoniste sono state 80 «cavie» - di 15, 12 e cinque mesi - e ai più piccoli ci sono voluti 150 millisecondi per scatenare la cascata neurologica del riconoscimento. Tempi dilatati rispetto a un adulto, ma è a quell’età che la performance - spiega Sid Kouider sulla rivista «Science» - finalmente si manifesta, replicando lo stesso processo che avviene nelle menti orgogliose di mamma e papà. 

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