venerdì 18 ottobre 2013

PSICOLOGIA SOCIALE. LE RAPPRESENTAZIONI DELLA SALUTE E DELLA MALATTIA. D. OVADIA, Donare una parte, Mente&cervello, 106, 2013, pp. 76-83


L’autrice dell’articolo (Daniela Ovadia, Donare una parteMente&cervello, 106, 2013, pp. 76-83) cerca di chiarire alcuni dei motivi che starebbero alla base degli atteggiamenti di difficoltà e di rifiuto nei confronti della donazione di organi.





Le difficoltà di fronte alla donazione degli organi e la rappresentazione sociale diffusa della malattia e della morte

   Componenti religiose e sfiducia nel sistema sanitario

   In primo luogo “una certa difficoltà, non priva di connotazioni superstiziose, a parlare della propria morte o a considerarla come un evento che va affrontato in modo razionale”. Sulla base di questa riluttanza sono pochissime le persone che hanno il tesserino di una associazione di donatori oppure la tessera di donatore compilabile on line sul sito del ministero della salute. E’ la stessa ragione per cui gli italiani, ancora in vita, non esprimono le proprie volontà riguardo al testamento, ai lasciti o a direttive anticipate in materia di cure di fine vita.
Di queste cose non si parla neppure in famiglia che sembra costituire “l’ostacolo principale alla donazione di organi non solo in Italia, ma un po’ in tutto il mondo” (78).

   Una ricerca effettuata negli USA (1990-2008) mostra che le motivazioni addotte al rifiuto della donazione di organi sono tutte legate alle componenti religiose, molto più potenti in USA che non in Italia: “Il rifiuto della donazione dipende, spesso, dalla volontà di mantenere l’integrità del proprio corpo anche dopo la morte per arrivare, in sicurezza, alla vita eterna. Alcuni sono convinti che il prelievo di parti del corpo sia in contrasto con i rituali di sepoltura della propria religione. Spesso i partecipanti percepivano la donazione di organi come un gesto contrario alla volontà di Dio o di un’altra entità superiore” (80).

   In Italia le motivazioni sono diverse. Accanto a quelle religiose ce ne sono altre legate alla scarsa fiducia di cui gode il sistema sanitario: “I casi di cronaca che coinvolgono episodi di malasanità o addirittura di commercio d’organi influenzano molto anche la decisione in vita” (80). Una sfiducia, questa, non solo italiana, ma verificata anche in Paesi come l’Australia.

Necessità di tradurre i concetti medici specialistici nel linguaggio del ‘senso comune’

   C’è, inoltre, un altro motivo, interessante proprio dal punto di vista della questione relativa alle rappresentazioni sociali: “Sia i singoli, sia i familiari hanno difficoltà a comprendere il concetto di ‘morte cerebrale’, così diverso dal sentire comune secondo il quale è cadavere solo il corpo nel quale il cuore non batte più” (80). Nel saggio contenuto nel rapporto “La donazione in Italia” (Springer, 2011) gli autori scrivono che “spesso i familiari, in particolare, si creano un’immagine mentale fantastica sulla reversibilità delle condizioni cliniche del loro congiunto e sul trapianto in base alle modeste ed incomplete informazioni in loro possesso. Le loro conoscenze derivano solo dalle informazioni pubblicate dai giornali e dal riviste oppure diffuse dai media che non vengono presentate in maniera adeguata e corretta. La scarsa accuratezza con cui le informazioni vengono divulgate ha generato, e genera ancora, non poca confusione fra gli stati di coma, la morte cerebrale e altre situazioni patologiche come il coma vegetativo cosicché la paura di consentire il prelievo quando ancora tutte le speranze di sopravvivenza sono perse è molto frequente” (80).
   Molti studi effettuati in materia dimostrano che un basso livello socio-culturale può essere un ostacolo alla donazione sia da parte del singolo sia dei familiari, proprio per via della complessità dei concetti medici legati a questa pratica. Una dimostrazione del fatto che l’educazione può cambiare le cose viene dalla Turchia dove la disponibilità verso la donazione ad estranei è particolarmente bassa e 3 organi trapiantati su 4 – in particolare fegato e reni- provengono da parenti stretti. Tonguc Ylmaz, membro di un centro di trapianti di Ankara, ha chiesto ad un gruppo di maschi musulmani di diversa estrazione sociale che cosa pensassero della donazione e quali conoscenze avessero già sull’argomento. In seguito i partecipanti hanno ricevuto una formazione sul trapianto d’organi ed informazioni sulle leggi in materia. Per esempio è stato spiegato loro che cosa stabiliscono le norme in vigore, quali parti del corpo si possono donare, quale posizione abbia il Corano sull’argomento o che cosa significano termini medici come ‘morte cerebrale’. All’inizio della ricerca più della metà degli intervistati rifiutava la donazione di organi, mentre dopo due mesi la quota era scesa ad un ottavo. Inoltre quasi tutti erano capaci di spiegare con parole proprie il concetto di ‘morte cerebrale’” (83).


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