lunedì 20 aprile 2015

PSICOLOGIA SOCIALE. CINISMO E SOCIETA' CONTEMPORANEA. C. GAMBERALE, Cinismo, LA LETTURA, 19 aprile 2015

Ore 04.50, Aeroporto di Fiumicino.
— Libero?
— Più libero di così. Sto qui fermo senza alzare un euro da sei ore. Dove andiamo?
— In quella via, a quel numero.
— La tariffa è fissa, lo sai sì? Non è che poi mi fai storie?
— Tranquillo, lo so.
— Torni da una vacanza?
— Più o meno. Sono andata a trovare una mia amica in Kenya.
— Dove c’è stato il casino?
— No. Ero a Diani, a duemila chilometri da Garissa.
— Comunque forse quei poveracci che so’ morti staranno meglio adesso di come stavano prima.
— In che senso?
— Perché, a te che ci sei stata ti pare che in Africa la gente se diverte? Che sta bene? Noi comunque c’abbiamo poco da ridere, eh: stiamo a fare la stessa fine loro. In Canada, me ne dovevo rimanere.
— Invece?
— Invece mio padre s’è ammalato, non poteva più guidare, so’ tornato, ho ficcato in saccoccia la laurea in giurisprudenza e ho preso il taxi al posto suo: sennò le cure come se le pagava? Tanto è morto uguale. E mia madre gli è andata dietro, secondo me s’è fatta morire per non lasciare a me il problema che la dovevo campa’. Che schifo di Paese. Che schifo di vita.
— … non ce l’hai una fidanzata?
— Io? Ma che sei scema? C’ho in affitto una stanza fuori Roma, a Marina di San Nicola, ’ndo la metto una donna? E poi ci manca solo che trovo una come quella di dieci anni fa, che m’ha mollato subito dopo che è morta mamma. No, no. Per carità. Grazie donne, ma state lontane.
— …
— …
— Certo che però all’alba Roma è talmente bella…
— Aspetta un’ora ché ricomincia il delirio e poi te lo farei vedere io quant’è bella, Roma.
— Senti, scusami. Però non puoi fare così. Uno spunto da cui ricominciare devi trovarlo. Eddai.
— Uno spunto? Ricominciare? Guarda, l’unico spunto me lo dà qualcuno se mi presta ’na calibro 38, così mi sparo in testa e tolgo il disturbo.


È stato questo, e giuro che ho provato a edulcorarlo, il dialogo fra me e il tassista che mi ha riportato da Fiumicino a casa, qualche giorno fa.
I libri di storia invitano al cinismo quanto quelli di biologia e anche di più, sosteneva Emil M. Cioran: e la crisi che stiamo vivendo oggi evidentemente supera anche i libri di storia, come sprone.
C’è sempre meno fiducia, nell’aria.
C’è sempre meno voglia di capire.
C’è sempre meno aria, nell’aria.
Mentre sale un vento umido, che nasce dalle coscienze che rinuncia dopo rinuncia forse rinunciano anche a loro stesse, monta attraverso i social network e soffia per le strade, nelle case, nei taxi.
Me ne sono accorta lucidamente cinque anni fa, quando in quel maledetto incidente col paracadute è morto Pietro Taricone, il vincitore morale di tutte le edizioni del Grande Fratello, che aveva gli occhi che facevano luce, aveva la faccia bella, il sorriso misterioso. Una compagna, una figlia di sei anni. E un’amica a cui il giorno stesso hanno fatto notare che si era subito formato un nuovo gruppo, su Facebook: FINALMENTE OGGI È MORTO UNO COME PIETRO TARICONE E NON È CADUTO UN OPERAIO DA UN’IMPALCATURA.
Quel gruppo per fortuna dopo poche ore è stato cancellato dalla rete.
Ma dalla rete delle emozioni di quell’amica no: al male impossibile per la scomparsa di Pietro, dentro di me ha cominciato a farsi strada lo sgomento.
Da che cosa poteva essere animato, chi aveva creato quel gruppo? E chi ci aveva aderito? Possibile che per quei dementi la bellezza e il successo di Pietro fossero in qualche modo responsabili delle loro frustrazioni? Possibile che la morte di un ragazzo di trentacinque anni, nella loro testa, potesse in qualche modo risarcire l’ingiustizia delle morti che ogni giorno ci sono sul lavoro?
Possibile che della compagna di Pietro, della sua bambina, non gliene fregasse niente, come se Pietro non fosse stato davvero una persona, davvero un padre, ma solo il simbolo del benessere e di tutto quello che a loro mancava?
Sì. Sì, sì e sì. Era possibile.
È possibile, succede tutti i giorni.
Su Facebook.
«Meglio un giudice ammazzato che un nuovo imprenditore che si impicca».
Ma anche sui blog.
«Più che un politico sembra il pilota della Germanwings».
Su Twitter, poi.
«Saviano ospite di Amici. Alla fine la camorra ha trovato il modo di delegittimarlo».
In televisione. «Ma ci entri nella sedia (tu, bambino sovrappeso)?».
Alle cene.
«Che coppia straordinaria, Francesca e Antonio. Sono così complici, così uniti». «Bella forza, con tutti i soldi che guadagna Antonio come farebbe Francesca a non amarlo?».
Fa ridere, prenderla così? Fa pensare? C’è del surreale che mi sfugge? No: è semplicemente una delle possibili, in parte istintive, reazioni a quando qualcosa non funziona, nella nostra esistenza o attorno a noi. Nell’animo di chi è forte, se la barca rischia di affondare, aumenta la paura: come nell’animo della mia amica Alberta, quella che sono andata a trovare a Diani, in Kenya, dove da vent’anni affitta case-vacanza e grazie al suo business dà lavoro a più di cinquanta persone del posto. Quando abbiamo saputo della strage a Garissa, Alberta, che di solito parla anche mentre ascolta, è rimasta zitta per due interi giorni.
Ma nell’animo di chi è forte, dopo la paura, e proprio grazie al contatto con un sentimento scomodo come la paura, tornano naturali il coraggio, la speranza, la voglia di fare qualcosa. Tanto che Alberta mi ha appena scritto: «Va finalmente meglio. Gli italiani stanno arrivando e cercano di sostenere il Kenya come possono… i bombardamenti al confine con la Somalia si sono calmati… speriamo. Anche qui la sicurezza è limitata, ma se pensi a quello che è successo la settimana scorsa al Tribunale di Milano!!! E poi di positivo c’è che la popolazione kenyota non si arrende, vuole i turisti e vorrebbe che le istituzioni facessero pubblicità su questo paradiso che non può essere ridotto a un covo di terroristi o bracconieri».
Invece l’animo di chi è debole, se la barca rischia di affondare, si fa sordo. Così, quando arriva la bufera, il debole molla gli ormeggi, butta tutto in mare e perde il contatto: con il Kenya, con l’Italia, con chi gli sta accanto, ma soprattutto con se stesso e con i suoi mostri, con le sue fragilità. Anche con la paura, ovvio: e dove non c’è letame non potranno mai nascere fiori.
Infatti germina il cinismo. E non aspira più a niente, il cinico, niente può ispirarlo e niente può ispirare. A meno che, certo, non si tratti delle schifezze umane Carlo e Pietro Giordano, di Rocco Cane, Giuseppe Filangeri e degli altri indimenticabili personaggi di Cinico tv. A meno che non si tratti del Ferdinand Bardamu di Louis-Ferdinand Céline, dell’Heathcliff di Cime Tempestose, del Riggan Thomson-Birdman di Alejandro González Iñárritu. A meno che insomma, nella vita come in letteratura e sullo schermo, il cinico non sia in realtà un sentimentale ferito, fin troppo in contatto con i suoi mostri. O con il suo cane. Perché una volta sotto casa mia, arrivato il momento di salutarci, inaspettatamente il mio tassista fa:
— Ora stacco e lo sai che faccio? Torno a Marina di San Nicola, alla stanza mia, prendo il cane e mi faccio una corsa sul lungomare con lui. Lo vuoi vede’ in foto? È un grande. Pensa che appena sente che salgo le scale, ancora prima che apro la porta, si fa trova’ col guinzaglio in bocca, come a dire finalmente sei tornato, da quando sei uscito non ho fatto niente: ti aspettavo e basta.

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