sabato 19 marzo 2016

ANTROPOLOGIA. RICORDO DI I. MAGLI. LE DONNE NON HANNO MAI INVENTATO NIENTE, LA REPUBBLICA, 9 febbraio 1992

Vorrei aggiungere all' interessante articolo di Luca Cavalli Sforza "Questa volta con chi ci accoppiamo?" (Repubblica, 27/8/92) qualche riflessione un po' contro tendenza a proposito di matriarcato e di invenzione dell' agricoltura da parte delle donne. 



Supporre che le poche tombe femminili più ricche del solito testimonino il potere e il prestigio acquistato dalle donne per aver inventato l' agricoltura, e che le donne l' abbiano inventata perché erano loro a raccogliere i vegetali e quindi ad osservarne la crescita, è un' ipotesi di cui non c' è nessuna prova, e che non trova conferme neanche presso quei popoli, viventi di caccia e raccolta, studiati negli ultimi secoli da etnologi e antropologi. Possono bastare per tutti i famosi Nambikwara, tanto cari al cuore di Lévi- Strauss, dove non si è mai attuato il passaggio all' agricoltura, malgrado il rischio di non sopravvivenza nei periodi in cui l' alimentazione dipende esclusivamente dalla raccolta dei vegetali affidata alle donne. Questo passaggio è avvenuto, come è stato dimostrato da tanti antropologi ecologisti (ed è perfino banale riconoscerlo) soltanto là dove l' abbondanza e la distribuzione dell' acqua l' ha reso possibile. Tuttavia non è questo che mi interessa puntualizzare, quanto piuttosto come sia difficilmente credibile che le donne abbiano scoperto o inventato alcunché in rapporto al lavoro svolto. Ci sono tante e così evidenti prove che, in ogni tipo di società e cultura, inventano, scoprono, impongono, trasformano gli usi e i valori soltanto coloro che possiedono il sapere, la supremazia e la leadership, che non soltanto non se ne può dubitare ma diventa perfino pericoloso supporre il contrario, dato che saremmo costretti a ritenere intellettualmente incapaci tutte le classi subalterne, ivi incluse le donne, che nei diecimila anni che conosciamo non hanno mai scoperto nulla. Se fosse vero che le donne debbono aver scoperto l' agricoltura perché conoscevano le piante, raccogliendole, le donne avrebbero dovuto anche creare la pediatria, la ginecologia, inventare le religioni, scoprire le leggi fondamentali della fisica e della chimica in base al lavoro che hanno sempre fatto. Chi più delle donne ha curato i bambini, ha assistito le partorienti, ha vegliato i defunti, ha tenuto acceso il fuoco, ha adoperato l' acqua, ha cucinato nei modi più vari e gli alimenti più vari? Eppure non sono le donne ad avere formulato le leggi della termodinamica, nessuna casalinga che vive nella cucina in un vero e proprio laboratorio di fisica e chimica, ci ha mai spiegato perché l' acqua bolle, perché il latte fuoriesca all' improvviso dal bollitore, perché sia diverso cuocere la carne al forno invece che sulla fiamma. La verità è (almeno in tutta la storia che forno invece che sulla fiamma. La verità è (almeno in tutta la storia che conosciamo) che fino a quando la società non ti assegna e non ti riconosce il ruolo di sapiente, di soggetto, in qualsiasi azione, l' individuo, maschio o femmina che sia, non si pone neanche il "perché?" indispensabile per riflettere, e per conoscere il lavoro che svolge. Sappiamo invece con assoluta certezza che in qualsiasi epoca i popoli hanno "creato" una specie a parte, quasi subumana, obbligata a svolgere i lavori privi di prestigio, gli schiavi e le donne, che non solo non hanno mai ricevuto tombe onorifiche per questo, ma dei quali nessuno pensa che abbiano ideato e progettato le piramidi, anche se di fatto sono stati loro a costruirle. Non c' è riuscito neanche il marxismo, neanche i sindacati più forti del mondo, a convincerci, perfino oggi in cui affermiamo di essere tutti uguali, che gli uomini più sapienti, più potenti e prestigiosi, ai quali spettano particolari onoranze dopo la morte, sono i contadini o i metalmeccanici. Le ipotesi di tipo femminista, che alcuni studiosi di buona volontà propongono per un passato di cui non abbiamo prove, non trovano nessun riscontro neanche presso i popoli a discendenza materna, cui accenna Cavalli Sforza. Gli antropologi hanno dimostrato in abbondanza che la discendenza in linea materna, sia del nome che delle proprietà, non comporta mai il predominio delle donne, e questo vale anche per quanto riguarda le rare popolazioni in cui due o più uomini, in genere fratelli, prendono in moglie la stessa donna. Il soggetto agente non è mai la donna, in questo come in tutti gli altri tipi di matrimonio; sono i maschi che sposano la stessa donna, e per motivi strettamente legati alla necessità della incontaminazione della potenza, dell' essenza della famiglia (simbolizzata dallo sperma) che si raccoglie così in unico "contenitore". Sono motivi analoghi a quelli per cui presso molti popoli esiste la legge del levirato, che obbliga il fratello del defunto a sposarne la vedova, oppure che (per maggiore sicurezza) obbliga la vedova a morire insieme al marito, o anche, in una forma attenuata, a rinchiudersi per sempre nella casa della famiglia del defunto e a non risposarsi più. Non possono sussistere dubbi, per quanto pesi riconoscerlo, che i sistemi di valore e il potere che vi si fonda prescindono dalla logica della concretezza e della realtà. Se non fosse così, non esisterebbero le religioni.

Nessun commento:

Posta un commento