L’equiparazione del prestito dell’utero con la prostituzione rischia di dare una lettura semplificata a una questione complessa.
La prostituzione ha due risvolti diversi, per quanto interconnessi. Il suo sfruttamento (che crea un plusvalore per lo sfruttatore) la pone sul piano dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Quest’ultimo è espressione di uno spostamento delle relazioni di scambio dalla parità dei soggetti sul piano del desiderio alla loro ineguaglianza sul piano del bisogno materiale, che le costituisce come rapporti di potere. Più le relazioni di scambio diventano relazioni di potere, quindi di sfruttamento, più l’appagamento del desiderio diventa un miraggio e il piacere tende a essere scarica pura dell’eccitazione, sollievo più che esperienza di trasformazione sensuale, emotiva e mentale.
Lo sfruttamento dell’operaio esclude l’impiego diretto del corpo sessuale che è, invece, l’oggetto da sfruttare nel campo della prostituzione. Tuttavia, in entrambi i casi l’uso del corpo, della donna come dell’uomo, è centrato sulla sua componente maschile. La componente femminile diventa periferica fino ad essere inibita, silenziata nella prostituzione. Più la componente femminile del corpo – sciogliersi, coinvolgersi, lasciarsi andare, aprirsi- si marginalizza, più la componente maschile- concentrarsi, disciplinarsi, coordinarsi, dirigersi- si irrigidisce, perdendo la sua creatività e la sua forza espressiva. Diventa lo strumento di un agire meccanico, esecutivo. Lo sfruttamento della prostituzione illumina la natura profonda dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo: esso trae il massimo vantaggio dal totale eclissarsi del corpo femminile.
L’altro risvolto della prostituzione, la sua realizzazione come lavoro autonomo, senza padroni, mostra la velleità della pretesa di usare liberamente il proprio corpo in dissociazione dallo scambio di doni nella relazione amorosa: la donazione reciproca del proprio coinvolgimento e della propria vulnerabilità da parte degli amanti. Il sesso a pagamento fa del denaro la protesi inerte con cui si ripara la mutilazione del tessuto vivo della femminilità, che consente lo scambio di doni. Se lo sfruttamento della prostituzione spiega il meccanismo dello sfruttamento del corpo del lavoratore, la prostituzione senza sfruttatori fa capire che la mercificazione delle relazioni umane trae il suo consenso da una riparazione disumanizzante, ma percepita come salda, compatta. Questa riparazione è mediata inconsciamente dal fantasma della “madre virginale”: il permanere del corpo femminile nel commercio erotico in superficie, che garantisce la sua inaccessibilità al piacere profondo.
Nella gravidanza surrogata il fantasma del concepimento verginale è ovviamente attivo, ma nelle donne surroganti manca, di regola, la serialità dell’offerta che confermerebbe il potere condizionante del fantasma. Le motivazioni inconsce soggiacenti al prestito dell’utero vanno cercate altrove. Nella delegittimazione del desiderio di disporre pienamente della propria creatività. Nel desiderio di donare ai propri genitori la genitorialità: offrire loro un altro figlio come riparazione per il fatto di averli delusi o, nella direzione opposta, dare loro una seconda opportunità, visto che sono stati deludenti. Il compenso finanziario, che è anche una forma surrettizia di legittimazione, non sarebbe sufficiente da sé, in assenza di questo tipo di motivazioni.
Il prestito dell’utero non è prostituzione, non è vendita di eccitazione: si trova in bilico tra il mercato dei corpi, che cerca di appropriarsene, e la donazione.
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